"Fare è pensare". Questa è l'intuizione che ha guidato Richard Sennett - sociologo americano - nella stesura dell'opera The Craftsman
dove,
servendosi di continui andirivieni temporali, ha voluto enfatizzare
le caratteristiche dell'artigiano, emblema dell'abile lavoratore la cui
attività da
sempre esprime arte, sapienza e perizia.
Per l'autore essere artigiani è un impulso umano che prescinde il
talento, è la manifestazione nel lavoro del valore del "far bene per se
stessi" che
spinge l'essere umano al continuo miglioramento.
Per anni siamo
stati orientati verso l'accettazione di personaggi eccezionali, dal
talento innato,
dimentichi che le società definite tradizionali - a partire dalla
Grecia arcaica - erano fondate sulla trasmissione generazionale delle
abilità tecniche.
In tali contesti la parola "genio" non aveva ragione di esistere, lo
sviluppo della perizia artigianale, il diventare un esperto e capace
falegname,
scultore o musicista era solo la normale conseguenza delle norme
sociali vigenti. L'attitudine all'essere artigiano risiede tutta
nell'esercizio della
tecnica, nella ripetizione che cambia man mano che sviluppiamo
destrezza. Volendo usare le stesse parole di Sennett, "l'abilità è una
capacità pratica
ottenuta con l'esercizio".
Sulla strada della costruzione del proprio talento, un grosso
ostacolo che incontra l'artigiano moderno è costituito dalle macchine.
Se nel periodo della
rivoluzione industriale la minaccia era fisica (riduzione del lavoro
umano a favore di strumentazioni che non risentivano della stanchezza e
avevano
prestazioni nettamente superiori) oggi la minaccia è nuova, e di
tipo intellettivo.
Oggi, per il sociologo americano, è in atto un divorzio tra la mano e la testa,
favorito dal cattivo utilizzo delle macchine che privano l'essere umano
del
ragionamento intellettivo, depauperandolo della capacità di
sviluppare abilità. Un esempio su tutti è la creazione di un software
denominato CAD che
consente ad ingegneri e architetti la progettazione virtuale di
oggetti fisici (come ad esempio gli edifici) anche di natura complessa
in tempo reale e ad
altissimo livello di precisione. Ma cosa succede alla mente
dell'architetto quando la realizzazione pratica di un oggetto viene
scissa dalla manualità
dell'azione? Il disegno, il tratto scritto è da sempre considerato
come l'esperienza che al meglio riesce a conferiti piena conoscenza
dell'oggetto in
questione. Tramite la riscrittura e la revisione il prodotto prende
forma dentro di noi, inizia un confronto diretto con la materialità, con
la sua
corporeità, il disegnatore crea un legame che è impossibile da
riprodurre con l'iperrealtà istantanea fornita dal programma.
Necessario, quindi, risulta instaurare un rapporto che sia
bidirezionale tra uomo e macchina, in modo che il primo non diventi uno spettatore passivo di
abilità tecniche sempre
più avanzate senza potervi partecipare attivamente. Continuare a
pensare da artigiani facendo un corretto uso delle tecnologie, impedendo
a queste di
inibire le capacità umane. Ma ciò è realmente possibile?
Per Sennett le nuove tecnologie si dividono in due macro categorie: i
replicanti e i robot. Nel primo gruppo rientrano le macchine che
rispecchiano ed
imitano le nostre caratteristiche, il loro funzionamento è tarato in
base ai parametri umani; il secondo gruppo riguarda macchine potenziate
che
amplificano le attività umane, fornendo prestazioni di gran lunga
superiori, strumentazioni attraverso le quali l'uomo misura la propria
inadeguatezza,
entrando in crisi e sfiduciando le proprie abilità.
A fronte della propagazione di tali robot, sono due le possibili
conseguenze che si prefigurano all'orizzonte per l'artigiano moderno: un
futuro dove le
macchine prenderanno definitivamente il controllo delle attività
umane, riducendole in poche e semplici operazioni, privando l'individuo
di una qualsiasi
rappresentanza intellettiva nelle operazioni svolte; oppure, in
alternativa, un futuro "illuminato" dove la macchina diventi un
"utensile-specchio", ossia uno strumento che ci
inviti a riflettere su noi stessi, immaginando la loro potenza come
funzione delle nostre capacità, che proponga e non imponga metodologie
tecniche. Un futuro dove
l'uomo resti al comando, imprimendo la propria impronta identitaria
nel lavoro tecnico.
Un contesto a noi contemporaneo dove sembrerebbe che il secondo
scenario sia quello più realistico è nel campo della progettazione
opensource, e nello
specifico il caso dei programmatori di Linux. L'autore non indugia
nel classificarli come moderni artigiani, poiché questa comunità fa
propri valori tipici
come: l'aspirazione alla qualità, al miglioramento tramite la
ripetizione e la riformulazione della tecnica; una comunità dove la
macchina invita
all'attuazione di nuovi modi di lavorare, migliorativi per l'uomo ed
indispensabili per il progresso, come la condivisione e la
collaborazione, dove i
criteri per determinare un buon lavoro sono stabiliti dalla comunità
stessa aperta a continui feedback sulla rilevazione e risoluzione dei
problemi.
Caratteristiche che risultano essere segni distintivi per le comunità di artigiani che da secoli si fondano proprio sulla trasmissione delle
conoscenze, delle abilità
tecniche e del saper fare e che in questo caso specifico subiscono
semplicemente una forte accelerazione.
Ma per un solo "caso Linux" esistono tante altre aziende
contemporanee che negano e impediscono il diffondersi delle virtù
artigiane, impedendo la
realizzazione dei loro stessi obiettivi. Come lo stesso Sennett
ricorda, il modello artigiano è un modello a lungo termine, dove bisogna
investire sulle
persone e non ricercare economiche soluzioni al di fuori del confine
aziendale, bisogna puntare sulla crescita delle competenze, altrimenti
qualsiasi tipo
di scenario risulterà fallimentare. Ma questo non sempre risulta
possibile.
Tempo di formazione, condivisione del sapere e cooperazione risultano
essere dopo secoli ancora i tre elementi essenziali per un lavoro che si
contraddistingue per qualità e passione. Un forte sostegno alla
riproduzione di queste tecniche nel campo lavorativo è fornito dalle
stesse macchine,
tecnologie digitali che negli anni si sono evolute sempre più fino a
diventare elementi catalizzatori per lo sviluppo di progetti ed
innovazioni. Nello
specifico contesti come i FabLab, vere e proprie officine
democratiche di apprendimento di capacità progettuali e realizzative,
risultano essere la
trasposizione contemporanea delle antiche botteghe dove le
tecnologie si trasformano in strumenti in grado di sovvertire le logiche
industriali di
produzione. Le caratteristiche su cui si fondando questi laboratori,
che pian piano si stanno diffondendo anche sul nostro territorio
nazionale, sono
principalmente le dinamiche del peer-to-peer learning ossia un
apprendimento collaborativo tra pari che garantisce lo scambio di
esperienze e conoscenze e
la riproducibilità dei progetti sviluppati.
In questi contesti crescono e maturano artigiani digitali promotori di un movimento dal basso e tesorieri di una cultura del lavoro che vede in questo l'espressione delle proprie passioni.
L'artigianato digitale non va riferito al paradigma informatico che distingue hardware e software, ma alla capacità di utilizzare tecnologia dell’informazione riferendola al modello di business tipico dell’artigianato, rivolta a micromercati, che applica la tecnica delle code lunghe a segmenti piccoli e numerosi, clienti caratterizzati da bisogni specifici, di nicchia.
RispondiElimina"L'attualità dell'artigianato e la sua anima digitale", un articolo di Andrea Granelli: http://www.agranelli.net/DIR_rassegna/ART_QuadRicArtig_2013.pdf