lunedì 21 novembre 2011

L'ubiquità della Rete è più importante della velocità

Al compleanno del web, una manifestazione-convegno che si è tenuta a Roma il 14 novembre per i 20 anni del web,  è venuto Tim Berners Lee. Il suo intervento è in video sul sito, è tradotto (in simultanea, un po' fastidioso) e dura 40'. Interessante e più conciso anche quello che ha detto nell'intervista resa a Riccardo Luna - organizzatore del convegno - per Repubblica.

domenica 10 luglio 2011

SeoGarden, una nuova concezione di Pollice Verde

Curare un giardino e curare un sito web, quali sono le differenze? stando al creatore di questo blog, in sostanza, nessuna! Cos'è il SEO? Possiamo trovare su SeoGarden una serie di riflessioni e domande ed anche risorse e consigli utili, per gestire questo meccanismo nascosto del sistema di ricerca di Google e dei siti web.

Chissà se da giardino non possa diventare un'oasi per noi assetati di sapere...

giovedì 16 giugno 2011

Su di noi nemmeno una nuvola...o forse si

Un articolo del First monday di qualche mese fa si parla di musica. E di "nuvole".
Il riferimento non è a nessuna canzone dei Negramaro o tantomeno di Pupo.
Per chi non lo sapesse ancora, esiste tutta una serie di servizi, chiamati appunto cloud-based, che danno la possibilità di archiviare dati in rete permettendo di accedervi da un qualunque supporto, a prescindere dalla posizione geografica, alla sola condizione di avere una connessione.

Indagine sulle attività svolte in rete da un campione di studenti della Facoltà di Sociologia


Dall'indagine "Aspetti della vita quotidiana", condotta dall'ISTAT a febbraio dello scorso anno, sono emersi dati molto interessanti sulle abitudini degli utenti italiani della rete. Tra gli intervistati, utenti con più di sei anni in un arco di tempo pari a tre mesi, è emerso che le maggiori attività svolte sono state: spedire o ricevere email (78,5%), consultare internet per apprendere (67,7%) e cercare informazioni su merci e servizi (62,8%). A seguire, tra il 45% e il 36% degli internauti, ha speso il proprio tempo su siti di social-networkink (45%), leggendo riviste on-line (44%), scaricando giochi, immagini, musica (41,2%), nel cercare informazioni sanitarie (40,1%), inserendo messaggi in chat, blog, forum (36,7%), cercare informazioni su attività di istruzione o su corsi di qualunque tipo (36,5%) o per caricare testi, immagini e fotografie su siti web per condividerli (36,4%). Per quanto riguarda l'ascolto della radio o la visione di programmi televisivi in internet, la percentuale scende fino al (31,3%), ancora di meno sono quelli che utilizzano servizi bancari on-line (30,2%), chi effettua videochiamate (22%) e chi cerca lavoro attraverso la rete (17%). In coda graduatoria, chiudono le attività di compra-vendita di beni o servizi (7,9%), chi ha sottoscritto abbonamenti per ricevere news (6,1%) e chi ha seguito un corso on-line (5,4%).

Rifacendomi alla lista di attività rilevate dall'ISTAT, ho creato un questionario su Gdocs, al fine di osservare le abitudini in rete degli studenti della Facoltà di Sociologia, analizzandone un campione di 57 soggetti, tutti iscritti al Corso di Laurea Specialistica di Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica con età media di 24 anni.

Dal test sono emersi risultati non sempre in linea con la stima nazionale: proprio dove l'ISTAT ha registrato una percentuale alta di utenti (78.5%) che utilizzano la rete per spedire e ricevere mail, appena il 63% degli studenti intervistati utilizza quotidianamente la posta elettronica. Un dato molto interessante se consideriamo il loro tempo di connessione registrato: il 22% da 1 a 3 ore, il 17% da 3 a 5 ore, il 20% da 5 a 7 ore e il 27% da 7 a 9 ore! E' evidente che probabilmente nel loro modo di comunicare abbiano messo un po' da parte l'utilizzo della posta elettronica, infatti il 90% degli studenti intervustati utilizza i social-network quotidianamente: la quasi totalità utilizza facebook e il 58% anche youtube. La maggior parte del campione non utilizza la rete per effettuare ricerche sulle informazioni sanitarie (47%) e per effettuare videochiamate (il 34% non ne ha mai fatta una e il 29% chiama una volta al mese col proprio pc). Il 15% degli intervistati, invece, utilizza la rete per seguire un programma radiofonico o televisivo e il 46% legge riviste e quotidiani on-line. Molta diffidenza è venuta fuori sull'utilizzo di servizi bancari in rete (il 44% non l'ha mai fatto) e sulla compra/vendita di beni e servizi, il 36% non ha mai effettuato una transazione in internet. Nessuno degli intervistati ha mai seguito un corso on-line.

Con questo test è stato confermato il dato dell'elevata attività di social-networking tra il campione di studenti, e ha rilevato il ridotto utilizzo di servizi di videochiamate online e di posta elettronica rispetto alla media nazionale. Poche tra tutte le attività elencate rientrano nella quotidianità di almeno il 50% del campione, restando in linea con i dati dell'ISTAT. Incontrastato resta il primato dell'utilizzo di facebook che si classifica come il sito più visitato e soprattutto quello dove i soggetti intervistati spendono la maggior parte del tempo della connessione a internet.

mercoledì 15 giugno 2011

Comunicazione Open



L’open data (dati aperti) è un altro degli aspetti che dimostrano come il modo di fare informazione stia cambiando nell’era del web 2.0. Informazione sia da un punto di vista prettamente giornalistico che da un lato legato prettamente alla comunicazione istituzionale.

Open data journalism - Gli esempi più noti di sono riferiti naturalmente a progetti come quello di Wikileaks o a fortunate esperienze come quella inerente allo scandalo dei rimborsi ai parlamentari inglesi, emerso grazie a dati resi pubblici su internet e rielaborati dal The Guardian con il contributo dei suoi lettori online.

Open data Italia - Nel nostro paese, tra i progetti più interessanti spicca sicuramente Open Parlamento promosso dall’associazione Open Polis. Per l'Italia la nota dolente non arriva tanto dai progetti di informazione e comunicazione no profit promossi dai cittadini, ma dalla pubblica amministrazione quando parliamo di comunicazione istituzionale. Nonostante ci siano norme come la legge 241/1990 in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti Amministrativi” e la 150/2000 che disciplina le “attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” non siamo un paese fatto per una pubblica amministrazione realmente snella e soprattutto trasparente.
Come denuncia Guido Scorza, presidente dell’istituto delle politiche dell’innovazione,  nonostante l’Italia sia prima in Europa in termini di messa a disposizione online di servizi pubblici, siamo gli ultimi in termini di utilizzo di tali servizi. Come è possibile tutto questo ? Scorza spiega il paradosso dicendo: “Stiamo infatti spendendo milioni di euro in programmi e progetti di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (CEC PAC, PEC, Emoticons, certificati medici online, piani straordinari per la digitalizzazione della giustizia ecc) senza riuscire ad intercettare i reali bisogni e le vere esigenze dei cittadini che, per tutta risposta, continuano preferire - o forse sono costretti dall'inefficienza delle soluzioni informatiche sin qui elaborate a - mettersi in fila negli uffici pubblici e compilare pile di carta.

Pubblica amministrazione aperta - In tanti paesi europei, la pubblica amministrazione risulta essere tendenzialmente efficiente e soprattutto trasparente. Uno degli ultimi esempi è dato dal progetto del primo ministro francese François Fillon che con il portale www.data.gouv.fr renderà online una quantità enorme di dati prodotti dalla pubblica amministrazione francese. L’Italia per poter prender spunto da queste esperienze, potrebbe prestare attenzione alla seconda guida dell’associazione italiana per l’open government intitola “Come si fa Open Data” e presentata il 10 Maggio al ForumPA.

Come Si Fa Opendata Ver 2
 


La sfida della comunicazione – In un recente post di Ciro Pellegrino, storico redattore dell’ormai defunto “Il Napoli” (Gruppo E-Polis), evidenzia come la campagna elettorale del neo sindaco De Magistris sia sta impronta molto anche sull’idea di avere un comune trasparente al pari di un palazzo di vetro. Per la precisione, Pellegrino parla di comunicazione a 360°, toccando varie sfaccettature; una cosa è certa, la vera sfida per Napoli, oltre alla soluzione di problemi oramai storici, sarà proprio incentrata sulla comunicazione che poi è il vero tallone d’Achille di tutta l’Italia.

Avere una pubblica amministrazione veramente open, significa da un lato dare la possibilità ai cittadini di essere dei “cani da guardia della democrazia”, dall’altro di poter dialogare di più con gli stessi, in modo da migliorare i propri servizi senza doversi imbattere in una delle dodici fatiche di Asterix.

Privacy "followers"

In uno dei nostri incontri abbiamo riflettuto sul fatto che la generazione dei nativi digitali, in particolar modo quella americana, sia ormai abituata alla comunicazione via chat o social network e che, ancor di più, riesca a gestire con grande consapevolezza questo mezzo. A tal proposito ho trovato quest'articolo su The Guardian in cui le due autrici, Danah Boyd e Alice Marwick, si soffermano sull'uso che i teenagers fanno di Twitter.

Gli usi che si fanno di Twitter, specie tra i giovanissimi, sono i più svariati: a partire da chi ritiene sufficiente seguire (follow) i propri idoli e sperare di entrare in contatto con altri fan, a chi prende parte a concorsi o semplicemente arricchire la propria rete di conoscenze. Le due opzioni che Twitter offre sono: rendere i tweets (ovvero gli aggiornamenti di stato) visibili a tutti, oppure scegliere che essi vengano letti, e quindi commentati, da una rete scelta di contatti.

Sorprederà sapere che, contrariamente alle aspettative degli adulti sempre più preoccupati della gestione dell'immagine pubblica dei teens, i più giovani preferiscono condividere le proprie informazioni con un ristretto numero di persone. Il motivo può essere rintracciato nella volontà di "isolamento" in un ambiente digitale più ristretto rispetto a Facebook.
Anche la codifica dei tweets appare difficile: ricchi di riferimenti, anche se accessibili, essi possono non essere interpretati dagli outsider, quasi a voler rimarcare una volontà di creare piccoli gruppi e subculture.
In alcuni casi si parla di "social steganography", una tecnica di tutela della privacy molto in uso presso i giovanissimi che consiste nel pubblicare contenuti il cui significato può essere interpretato in modi diversi e le cui intenzioni comunicative vengono effettivamente colte soltanto da chi è a conoscenza di dettagli e informazioni personali di chi pubblica il contenuto.

In questo modo il confine tra pubblico/privato diventa più labile. Il fatto che oggi la privacy delle nuove generazioni sia messa più a rischio del passato non implica un'assenza di sensibilizzazione sull'argomento ma soprattutto un disinteresse, attraverso l'esperienza, nel gestire la propria privacy in pubblico.

martedì 14 giugno 2011

Ancora sulla partecipazione

Continuiamo il nostro discorso sul consumo partecipato ponendoci un altro quesito. Abbiamo sottolineato che esiste una nuova tipologia di consumo che abbiamo chiamato “consumo partecipativo”. Questa nuova forma comprende anche (e soprattutto) attività a titolo gratuito. Perché? Cosa spinge una persona a prendere parte a queste nuove pratiche?
Benkler spiega questo fenomeno affermando che le motivazioni sociali rafforzano quelle personali e ci riescono facendo leva su due tipologie di motivazioni sociali: le prime che dipendono dall’essere connessi e le seconde che dipendono dalla condivisione e la generosità. È il caso sei software gratuiti che circolano nella rete.
Le motivazioni che spingono a fare ciò sono di due tipi: private e pubbliche. Ovvero motivazioni intrinseche, quando si opera in circostanze private, e motivazioni estrinseche quando si opera in circostanze pubbliche.
Oggi possiamo trarre più valore da una partecipazione volontaria grazie alla maggiore connettività, alla nostra facoltà di immaginare cosa questa partecipazione può permettere. Non è quello che avviene con piattaforme come Wikipedia?

mercoledì 8 giugno 2011

I Nativi Digitali

La prepotenza e la rapidità con la quale i media digitali, e Internet nello specifico, si sono innestati nella nostra società, porta a un'inevitabile riflessione sulle nuove generazioni, quelle i cui membri sono definiti nativi digitali.

Come si può facilmente immaginare, non tutti i giovani sono nativi digitali: questi ultimi condividono una cultura comune che non è definita necessariamente dall'età, ma da certe caratteristiche ed esperienze in parte specificate dal fatto di esser cresciuti immersi nella tecnologia digitale. E' su questo argomento che hanno condotto i loro studi Urs Gasser e John Palfrey (il primo executive director della sezione Internet and Society del Berkman Center, il secondo co- direttore nello stesso centro di ricerca) in un libro del 2008 dal titolo "Born Digital: Understanding the First Generation of Digital Natives".

Le caratteristiche tratteggiate dagli autori in merito al nativo digitale possono però essere riscontrate anche in altre "categorie". E' bene quindi chiarire quali sono queste categorie individuate e quali i tratti fondamentali.
1) Born Digital, Live Digital (quelli che nascono nel periodo tecnologizzato e che vivono le tecnologie) sono detti Nativi Digitali
2) Born Digital, Not Live Digital (quelli che nascono nel periodo tecnologizzato ma che non vivono le tecnologie
3)Not Born Digital, Live Digital (le generazioni che non sono nate nel periodo digitale ma che fanno uso della tecnologia digitale)
4) Not born Digital, Not live Digital, che stanno cercando un loro percorso nel mondo digitale sono definiti Digital Immigrants
5)Not born digital e che non hanno nulla a che fare col mondo digitale per ragioni di scelta, sociali, economiche etc.

Il termine Nativo Digitale non definisce quindi una generazione quanto un modo di far esperienza, in questo caso con le nuove tecnologie. Ci si riferisce infatti a chi capisce che il mondo è costituito da reti, che le culture si estendono oltre delle semplici coordinate geografiche e che le tecnologie digitali aiutano a far fiorire le culture in tanti modi diversi. L'aspetto peculiare dei nativi digitali è che la loro priorità non è essere semplicemente online, quanto usare la tecnologia come un artefatto che permette loro di diffondere cultura. E' quindi un nuovo modo di pensare e vivere la cultura che, in un'ottica di gestione autonoma delle informazioni e dialogo con le istituzioni può veramente dar vita a nuove forme democratiche.

Girovagando sul sito del Berkman Center ho scoperto un'intera sezione dedicata ai Born Digitals che, tra le altre cose, raccoglie dei video realizzati dai summer interns, ovvero giovani studenti alle prime armi con il mondo della ricerca e del lavoro, proprio sul tema Born Digital. Vi invito a guardarli perché trovo interessante scoprire il modo in cui queste nuovissime generazioni utilizzano i lunguaggi delle nuove tecnologie per parlare dei più disparati argomenti (attivismo, overload informativo, qualità, sicurezza, identità) attraverso il "filo rosso" del digitale.

domenica 5 giugno 2011

Social Network: usi e opportunità

Affrontando in questi ultimi mesi l'argomento "Internet nella vita quotidiana" è stato quasi inevitabile confrontarsi sui Social Network. Che uso ne facciamo? Si può parlare di dipendenza in certi casi, o è semplicemete un modo di comunicare recentemente esploso e destinato a terminare? E' stato più volte sottolineato come il 2007 sia stato l'anno del boom del social networking, anche se il fenomeno è nato ben prima. Il 1995 infatti, nasce Classmates.com, con l'intento di far riallacciare contatti con i compagni di scuola. Nel 2003 un altro punto di svolta importante è sancito dalla nascita di MySpace, dalla nota semplicità d'utilizzo, e nel 2005 con Youtube.

Ormai due anni fa, lessi per la prima volta un testo di Patrice Anne Rutledge pubblicato nel 2008, dal titolo "Social Networking", dedicato alle molteplici forme e usi che si possono fare dei social: dal tempo libero, alla ricerca di un lavoro, alla creazione di un business e al suo mantenimento. La varietà di offerta possibile su questi siti è spaventosa e non è eccessivo affermare che a ognuno spetta il suo social network. L'abitudine tutta italiana di considerare quasi esclusivamente Facebook (recentemente è avvenuto un decollo di Twitter nella nostra penisola), oscura una larga fetta di nicchie interessanti che evidenziano l'utilità dello scambio di informazioni che avviene su queste piattaforme (cafemom.com; dogster.com; shelfari.com).

Non meraviglia che l'argomento nel corso di questo ultimo decennio abbia appassionato gli studenti e i ricercatori di comunicazione, che hanno suddiviso il campo di indagine in più aree riguardanti: a) la costruzione dell'identità, b) la creazione del network e la sua struttura, c) la differenza tra i social network off e online, d) la preoccupazione sulla privacy.

Ad attirare la mia attenzione sull'argomento è stata una pubblicazione recente (2010) di Ezster Hargittai, professore associato del dipartimento di Communication Studies della Northwestern University, Illinois, dal titolo "From Dabblers to Omnivores: a typology of Social Network Site Usage" [Dai dilettanti agli onnivori: una tipologia d'uso del Social Network].

In questo lavoro Hargittai si chiede se esistono sostanziali differenze nell'uso dei social network tra gli utenti occasionali e frequenti e se è possibile riscontrare una differenza tra chi è fedele a un solo sito e chi invece è attivamente coinvolto in più di uno. Per definire le varie tipologie, nel lavoro sono state prese in considerazione sia la frequenza con la quale visitano questi siti, sia il numero di Social Network a cui partecipano. Questi i risultati:

Dabblers = coloro che frequentano un solo sito saltuariamente
Samplers = coloro che visitano più di un sito ma non spesso
Devotees = gli utenti attivi su un solo sito
Omnivores = gli utenti attivi su più siti

Gli studenti di college tra i 18 e i 19 anni sono stati un campione perfetto per la ricercatrice e i suoi collegh, con lo scopo di analizzare i diversi livelli e intensità della partecipazione ai siti di social networking. Dalle rilevazioni sono emersi dei dati importanti: il genere per esempio, è un fattore di differenziazione quando si parla di intensità d'uso (la percentuale d'intensità d'uso tra le donne è superiore a quella maschile). Ancora, gli studenti che non vivono in famiglia sono portati a fare un uso maggiore dei social network; esiste una correlazione tra il tempo speso online, le capacità di utilizzo della rete e l'intensità dell'uso dei social network.

Come per tutti i fenomeni, anche per i social network è lecito chiedersi se e quando avverrà un calo evidente di iscrizioni e partecipazione. Prima dell'avvento di Facebook per esempio, era MySpace il social di riferimento nelle comunità dei giovani o di chi voleva condividere i propri interessi. Attraverso quali forme si espliciteranno la partecipazione e la condivisione nella rete? Pare comunque che, almeno per un po' di tempo, i social media saranno lo specchio di esigenze di partecipazione, come è attestato da un report di JWT, secondo cui i giovani sotto la soglia dei 30 nutrono una grande preoccupazione di non essere inclusi, la cosiddetta FOMO (fear of missing out, paura di essere tagliati fuori) e i social network sono estremamente efficaci nell'evitare questo scenario.

Derrick de Kerckhove: "L'architettura dell'intelligenza"

"Questo libro è un tesoro. Di intuizioni, di link, di percorsi".
Tale è l'incipit della Prefazione di Antonino Saggio al libro di Derrick de Kerckhove, guru dei nuovi media, "L'architettura dell'intelligenza" (2001). Il testo, oltre a essere ricco di idee, ci mette profondamente in crisi, misurando di volta in volta il nostro know - how tecnologico, sociologico o filosofico con ciò che lo studioso propone.

Un primo aspetto da considerare è il metodo adottato da Derrick de Kerckhove nello scrivere il testo: lo studioso ha messo in rete il libro mentre lo stava facendo (p. 6).
Questa è stata un'intuizione brillante dello studioso, che ha permesso al mondo della Rete di accedere alle sue conoscenze e di connettere, forse per la prima volta, intelligenze e individui intorno a sé.
Un secondo aspetto su cui riflettere è il contenuto. Il guru dei nuovi media affronta la necessità di creare un nuovo alfabeto, consono alle strutture e allo "spazio" della Rete.

Nel primo capitolo lo studioso pone la questione dello spazio creato dalle nuove tecnologie, dove l'architettura dell'intelligenza diviene l'architettura della connettività, mettendo insieme tre ambienti spaziali in cui viviamo oggi: mente, mondo e network.
Lo studioso sostiene che la comparsa del cyberspazio, creato da Internet, ci porta a riconsiderare del tutto i precedenti due tipi di spazio (mente e mondo).
Ma facciamo un passo indietro, tornando all'epoca di Ippodamo da Mileto per constatare quanto l'urbanistica sia determinante per la configurazione dello spazio. Ippodamo da Mileto è stato il primo a introdurre nella storia occidentale ciò che sarebbe diventato la tipica griglia urbana del Nord America, l'unico luogo a essere fino a poco tempo fa esclusivamente fondato sull'alfabeto fonetico. In questo modo, Ippodamo immette un principio di razionalità che ha avuto delle ricadute considerevoli su ogni aspetto della vita romana. Ma sarà l'invenzione della stampa a rafforzare decisamente la concezione di spazio come noi lo intendiamo oggi.

La connessione fra l'alfabetizzazione greca e la griglia urbana è diretta, perché l'uso delle lettere per i fonemi del linguaggio ha introdotto fra le culture che ne hanno fatto uso una nuova relazione con lo spazio (p. 8). L'alfabeto è stato ed è una tecnologia centrale nell'elaborazione umana dell'informazione, quindi ha anche delle ricadute rilevanti sul modo in cui è strutturata, oggi, la rete.
Sullo stesso principio di analisi ritroviamo alcuni concetti come quello di "prospettiva", che a sua volta riflette la modalità di elaborazione delle informazioni che un cervello alfabetizzato adotta quando considera lo spazio. Qui diviene centrale il cosiddetto "chiasmo ottico", il quale divide le funzioni visive fra l'emisfero destro (che afferra la visione) e l'emisfero sinistro (che la analizza). Entrambi le funzioni sono eseguite uniformemente sull'intero spettro visivo disponibile.

Tuttavia tutto quello che vediamo, secondo i neuroscienziati, è anche frutto di una costante attività di calcolo e taratura. Una mente allenata dalla lettura ad analizzare il testo può facilmente analizzare lo spazio. E la prospettiva si configura proprio come analisi dello spazio nel tempo, attraverso la distanza. Una mente dedita alla lettura potrebbe anche essere in grado di organizzare e pianificare lo spazio circostante.

Una mente dedita alla lettura, Marcus Vitruvius Pollio, ha prodotto il primo completo trattato di architettura, prezioso, in quanto contenente, in ogni capitolo, una sorta di compendio dei precedenti testi di architettura, in particolare quelli risalenti all'epoca greca.
I principi sostenuti da Vitruvio sono Firmitas, Utilitas, Venustas, ovvero stabilità, utilità, bellezza. Di queste qualità le più importanti sono: dimensioni, armonia, proporzioni, simmetria, ornamento e colore. E' evidente la tendenza visiva di questo insieme di principi: la bellezza nell'arte e nell'architettura occidentale è oggetto di visione, ignorando tutti gli altri sensi. La percezione globale dell'edificio è dominata dalla visualizzazione della facciata, l'edificio è qualcosa da guardare. Questa inclinazione visiva pone le persone alfabetizzate in relazione "frontale" con il mondo. Questa relazione è oggi messa in crisi dai network e dalla realtà virtuale.

Un altro concetto da esporre è quello della "Rappresentazione". La tendenza alla rappresentazione nasce generalmente da un bisogno della mente di comprendere ciò in cui è coinvolto il corpo (p. 12). Attraverso l'alfabetizzazione, la tendenza alla rappresentazione è rafforzata dai lettori che traducono il testo nelle immagini rappresentate dalle parole. Il motivo per cui la tendenza visiva domina la cultura alfabetizzata è da ritrovare nella lettura, che richiede alla mente di sviluppare un processo di visualizzazione come "immaginazione". Letteralmente, l'immaginazione è il potere di creare immagini nella propria mente. Quindi, l'interpretazione di un testo ci richiede un esercizio costante delle nostre capacità immaginative (ibidem). Noi impariamo a interiorizzare il campo visivo riproducendolo nell'immaginazione e, in questo modo, costruiamo la nostra mente.

La mente dell'individuo occidentale lavora non guardando fuori, ma "dentro": l'occhio ha la funzione di una lente che separa chiaramente l'interno dall'esterno e inverte l'asse dell'osservazione verso un "teatro interiore", una costruzione teoretica che chiamiamo mente, ritenendolo un universo completamente individuale. Questo è lo "spazio mentale" che costruiamo attraverso la nostra esperienza quotidiana. E' il nostro spazio intimo, interno. Così, ordiniamo le nostre menti.

I lettori dell'alfabeto, quindi, possiedono due spazi: uno dentro la testa e l'altro fuori. Per realizzare una sorta di coesistenza fra i due spazi è necessario che lo spazio esterno sia fisso, mentre quello interno mobile, seppur avente caratteristiche razionali. Ed è in relazione alla "mente privata" che si sta verificando uno sviluppo psicologico nuovo: la formazione della mente connettiva.

Oggi lo spazio interno è stato probabilmente ristrutturato dai media elettronici: TV, radio, computer e Internet. Insieme, essi costituiscono il cyberspazio: sono compresi nel World Wide Web. C'è una nuova connettività fra le menti private nel mondo.
Uno schermo connesso è una mano direttamente nel mondo, è il portale attraverso cui le menti interagiscono. La mente privata è connessa ad altre persone nel cyberspazio e quest'ultimo è percepito come un vero e proprio spazio perché ha un dentro e un fuori.

Derrick de Kerckhove sostiene che vi è un problema riguardo al principio di occupabilità del cyberspazio. Internet e il web sono entrambi virtuali, un fatto che coloro che promuovono la Realtà Virtuale (RV), spesso mancano di riconoscere (p. 16). Tuttavia, è proprio la virtualità del cyberspazio che lo rende affine a uno spazio mentale. Il cyberspazio è senza dubbio diverso dallo spazio fisico. E' un ambiente che permette la configurazione delle reti. Ma anche lo spazio mentale è virtuale: entrambi sono dotati di memoria, entrambi elaborano le informazioni ed entrambi sono dotati di intelligenza.

Il cyberspazio è parzialmente integrato con gli altri tipi di spazi che occupiamo (lo spazio fisico e mentale). Ha bisogno di strutture e gestione e nonché di considerazioni architettoniche (p. 17).
Secondo Anna Cicognani, gli architetti dovrebbero avere un'autorità nella costruzione degli ambienti on line. L'architettura potrebbe fornire un terreno di esplorazione e di correlazione per i tre spazi.

A questo punto, è utile una comprensione di come l'architettura entri in rapporto con gli altri due spazi (mente e mondo). Questo è il significato di "architettura connettiva". L'architettura connettiva è quella che provvede all'inteconnettività fisica e mentale dei corpi e delle menti; è basata sulla nozione che esista qualcosa come le menti interconnesse e che le loro connessioni siano sostenute da tecnologie che permettono loro di riunirsi in momenti specifici. L'architettura connettiva, attraverso l'uso di software e hardware, facilita la libera riunione e separazione delle menti che collaborano a uno scopo comune (p. 18). Le forme di mediazione che si sviluppano in rete non sono né individualiste né collettive, ma connettive. Mentre le prime due forme assumono una singola direzione, quelle connettive sono più versatili, più aperte, e basate sull'eterogeneità dei loro membri.
L'architettura dell'intelligenza affronta la sfida a scoprire le strutture delle reti più efficaci a moltiplicare la mente attraverso la mente (ibidem). Essa riguarda la gestione unificata dello spazio fisico, mentale e virtuale, con l'obiettivo di comprendere specificamente dove e come essi interagiscono (p. 70). Questo lavoro probabilmente richiede la formazione di una nuova professione, il "cybertect", che dovrebbe creare sentieri affidabili e ambienti utili nel cyberspazio e fra il cyberspazio e lo spazio reale. Così come l'architettura si occupa di costruire luoghi per le persone che si trovano faccia a faccia, l'architettura connettiva si occupa di strutturare connessioni, progettare forme e strutture di telepresenza e collaborazioni nelle reti fra luoghi reali (ibidem). Un cybertect dovrebbe considerare soprattutto il modo in cui le persone entrano in relazione in un mondo prevalentemente cognitivo.

Studiosi come William Mitchell, Thomas Horan, Mark Surman e Darren Wershler - Henry propongono diversi principi su cui deve fondarsi l'architettura dell'intelligenza (cap.5).
William Mitchell introduce i seguenti principi:

1. Dematerializzazione, ovvero sostituzione di cose materiali con cose immateriali, come la lettera sostituita dall'e-mail.
2. Smobilitazione, cioè muovere bit è più facile che muovere persone (come ad esempio la possibilità di lavorare da casa).
3. Personalizzazione di massa, cioè utilizzo di silicio e software su vasta scala per la consegna soltanto di quello che è richiesto nei contesti specifici (per esempio, giornali personalizzati, aggiornamenti automatici ecc.).
4. Gestione intelligente, ovvero mettendo intelligenza nei congegni possiamo ridurre gli sprechi (per esempio sistemi di irrigazione intelligenti)
5. Trasformazione dolce, ovvero adattare nelle aree sviluppate il comune fabbricato esistente, gli spazi pubblici e l'infrastruttura di trasporto in base ai nuovi requisiti richiesti.

Thomas Horan espone altri cinque principi chiave:

1. Progettare per la molteplicità, ovvero considerare la possibilità delle persone di compiere attività giornaliere a qualsiasi ora, in qualsiasi luogo.
2. Progettare insieme luoghi tradizionali, cioè il bisogno di progettare luoghi digitali e di rispettare al tempo stesso luoghi tradizionali come case, biblioteche e scuole.
3. Progettare oltre l'architettura, cioè considerare i rapporti sinergici fra scambio elettronico e scambio fisico.
4. Progettare per la comunità, ovvero connettere reti civiche.
5. Progettare in collaborazione, cioè bisogno di includere gli utenti nella creazione di nuovi ambienti high - tech.

Infine, March Surman e Darren Wershler - Henry ci ricordano che, nel cyberspazio, sono le persone a fare la differenza, non la tecnologia. Questi sono i principi da loro proposti:

1. Il collettivo è l'appendice killer di Internet. La differenza fra Internet e tutte le precedenti forme dei media è il ruolo che attribuisce alle persone. Quest'ultime, connettendosi in relazioni molti-a-molti, formano comunità, connected intelligence.
2. On line, siamo sempre più grandi della somma delle parti. Le persone creano qualcosa di più grande di se stesse quando sono connesse fra loro.
3. Nell'economia dello spazio comune, per prosperare occorre condividere il potere.
4. Il reciproco interesse personale costruisce comunità... e colpisce le corporazioni parassite. In Rete tutto ciò che si fa per se stessi può essere utile anche agli altri.
5. Nello spazio comune, quindici minuti di celebrità sono una ricompensa migliore del denaro. Specialmente negli sforzi tecnici, fare qualcosa di intelligente e guadagnarsi il rispetto dei propri pari è la più grande soddisfazione.
6. La tecnologia distribuita cresce. La tecnologia solitaria muore. E' necessario che si creino dei dispositivi in grado di permettere relazioni molti-a-molti fra le persone e di dialogare con altri strumenti usando standard aperti.
7. La rivoluzione viene da posti più strani. Nuove grandi idee nello spazio comune difficilmente vengono fuori da un laboratorio.

Rivisitando le pagine del libro di Derrick de Kerckhove, possiamo concludere che il principio fondante dell'architettura dell'intelligenza è la democrazia, la quale, secondo lo studioso, "riconosce la connettività come una nuova entità politica, richiedendo chiara comprensione dei suoi diritti e privilegi accanto a quelli della collettività e a quelli dei privati cittadini" (p. 79).

A questo punto è d'obbligo dire che il libro "L'architettura dell'intelligenza" si configura come un tesoro di link e di percorsi, ma soprattutto di idee, che permetteranno agli esperti di approfondire la relazione esistente fra la mente umana e la Rete, al fine di creare uno spazio comune e condivisibile, sempre più adatto e funzionale alla nuova società.

venerdì 3 giugno 2011

Dinamiche di potere nell'informazione di rete

Ho trovato molto interessante un approfondimento di Manuel Castels sul potere nella rete, nella società dell' informazione. L'articolo, Switching Power: Rupert Murdoch and the Global Business of Media Politics: A Sociological Analysis, inizia con un "abstract" in cui si presenta l'ipotesi che nella società contemporanea, occupare una posizione nei punti di collegamento tra le diverse reti, rappresenta una forma di potere molto importante; poi viene introdotto il caso della "NewsCorp" e la capacità di Rupert Murdoch, suo maggior azionista, di negoziare nelle dinamiche di potere.
Castels individua subito due strategie per la formazione del potere in rete: una è quella di esclusione di altri soggetti (individui o comunità) dalla rete stessa, l'altro invece, corrisponde sia all'abilità di programmare/riprogrammare la rete che all'abilità di collegare e controllare i punti strategici di raccordo tra le reti. Esistono quindi realtà come quella di NewsCorp in grado di connettere reti politiche, economiche, militari e scientifiche che risulta essere molto influente nella formazione dell'opinione pubblica.

NewsCorp è uno dei primi quattro conglomerati mediatici degli Stati Uniti e del mondo, è il media corporate che raggiunge la percentuale più alta di persone nonostante non sia la prima in investimenti economici e in numerosità del personale. Il suo modello di business si basa su tre azioni principali: strutturare un controllo verticale e orizzontale dell'informazione e dei contenuti, espandere il mercato il più possibile e fare leva sulla pubblica opinione per rafforzare i legami di potere con le reti.

Queste strategie di espansione hanno portato alla NewsCorporation ottimi risultati dal punto di vista economico, e un dominio di parte della comunicazione mondiale. Una delle ultime mosse di Murdoch è stata quella di acquistare la piattaforma MySpace, un altro nodo centrale della condivisione di contenuti musicali da parte di milioni di utenti. Ancora una volta NewsCorp fa da connettore, questa volta per lo scambio della cultura musicale a livello globale.

La grande forza di NewsCorp di evolvere, estendere e controllare sistemi di connessioni rafforza l'impero mediatico di Murdoch: queste stesse azioni però, compiute da altri attori della rete, possono minare la stabilità di quell'impero. Numerosi sono infatti altri switcher e programmatori nelle reti, che modificano e generano nuovi punti di collegamento e condivisione delle informazioni.

mercoledì 1 giugno 2011

Partecipazione nel consumare


Qualche post precedente abbiamo introdotto uno dei temi centrali (secondo me) dell’utilizzo della rete nella vita quotidiana: la partecipazione. Ci siamo chiesti se l’atomizzazione, che si è accentuata con l’arrivo dei media digitali, possa realmente spingerci lontani da una “cultura partecipativa” e abbiamo raggiunto la conclusione che i media digitali possano far nascere nuove forme di partecipazione prima sconosciute.
Il post si chiudeva con un interrogativo al quale cercheremo di rispondere con questo nuovo intervento. Ci chiedevamo se i new media ci facciano entrare in pratiche meramente di consumo oppure se queste pratiche sono anch’esse una nuova forma di partecipazione.
Ci troviamo di fronte ad un'innovazione dovuta alla frammentazione dei canali di trasmissione dei messaggi, in questo caso del consumo. Questa costringe il consumatore a dover selezionare i messaggi che gli arrivono da tante fonti per poi scegliere quello che a lui è più idoneo. Il consumo quindi non è più passivo ma si trasforma in forma dialogica tra i due attori principali: il consumatore e l'impresa. Un esempio di questo dialogo è stato il concorso della Friskies per scegliere la confezione dei nuovi biscotti per cani. Il consumatore è interamente coinvolto nel processo di produzione. Ma questo processo è possibile perchè trova il suo compimento in Internet.
La rete, infatti, implica l’idea di connessioni che si instaurano tra attori sociali diversi e complessi. Ecco che accanto alle forme tradizionali di mercato si affiancano nuove forme che prevedono anche una conversazione tra consumatore ed azienda. In Internet il consumatore in rete assume, quindi, il ruolo di “acquirente/consumatore/produttore di domanda” di un bene (o servizio) ma anche “produttore/venditore/generatore di offerta”dello stesso bene (Pitteri, 2010, pag. 12). Un esempio sono le foto, video e tanti contenuti che vengono immessi in rete la cui possibilità produttiva è la conseguenza della accessibilità. Questo fa nascere, così, una nuova forma di consumo: quello partecipativo. Colui che partecipa a questo processo è un consumatore attento, partecipativo, alla ricerca di empatia, che non ha paura di mostrare i suoi gusti e giudizi, a cui i social network hanno fornito spazio, riconoscimento e strumenti per esercitare il proprio potere di stakeholder.

sabato 21 maggio 2011

Sherry Turkle: "Alone Together"


In un articolo del New York Times si parla di come le nuove tecnologie abbiano un ruolo fondamentale nello scandire i ritmi della vita quotidiana, facendo riferimento al testo "Alone Together", di una grande esperta di tecnologie, Sherry Turkle, che si è occupata della creazione delle interazioni in Rete e dei suoi effetti sulla psiche umana.

Riporto brevemente il contenuto dell' articolo:

Teenager che inviano e ricevono sei - otto mila messaggi al mese e che trascorrono ore al giorno su Facebook. Persone in lutto che inviano messaggi durante una cerimonia funebre perché non riescono a resistere un'ora senza usare i loro BlackBerries. Bambini che vedono una tartaruga autentica delle Galapagos all'American Museum of Natural History e non capiscono perché il museo non abbia utilizzato una tartaruga - robot. Studenti delle scuole superiori che si meravigliano di quanto i loro profili Facebook dovrebbero rivolgersi agli argomenti ritenuti interessanti dai loro amici.
Come fa notare Sherry Turkle nel suo nuovo libro "Alone Together", la tecnologia sta cambiando il modo in cui le persone si relazionano tra loro e costruiscono le loro vite interiori. In questo testo Sherry Turkle non considera gli usi politici della Rete, come il caso delle insurrezioni in Egitto o in altri Paesi del Medio Oriente, ma si concentra sugli effetti psicologici "collaterali" che le nuove tecnologie potrebbero avere su di noi.

giovedì 19 maggio 2011

Partecipazione digitale

Shirky nel suo libro Surplus cognitivo parla di come la vita sociale nel ventesimo secolo crea un’atomizzazione che ci spinge lontani dalla “cultura partecipativa” (Shirky, pag. 19) e una delle cause di questa atomizzazione è da ricercare all’interno delle innovazioni tecnologiche. Dalla televisione ai new-media .
Paradossalmente sono proprio le tecnologie digitali (le stesse che provocherebbero questa atomizzazione) a porre una sorta di rimedio ad un processo di individualizzazione che le vuole vedere protagoniste. Un processo che nasce prima dell’inizio dell’era digitale (Pecchinenda, Homunculus, pag. 1-90).
Ma cosa significa veramente partecipare? Se il concetto si limita solo ad una partecipazione fisica allora Shirky ha ragione. I nuovi media ci rinchiudono nelle nostre nicchie. Per partecipazione, però, s’intende anche il “prendere parte in misura più o meno intensa e regolare alle attività caratteristiche di un gruppo, di un’associazione” (cit. Gallino, Dizionario di Sociologia). In questo senso notiamo che i nuovi media hanno rifondato questa partecipazione e fatte nascerne anche di nuove. Un esempio banale è la partita di calcio vista sulla poltrona di casa. Fisicamente non si è allo stadio ma non possiamo dire che non si sta partecipando a quell’evento. Si è semplicemente creata una nuova forma di partecipazione che non prevede necessariamente una compresenza fisica dei partecipanti.
Lo stesso vale anche per le dinamiche della rete. Le piattaforme Wiki sono un’esempio di partecipazione, di condivisione dei saperi. Anche tanti giochi on-line (ma non solo) prevedono forme di partecipazione  per avanzare di livello. E le varie forme di giornalismo partecipativo non fanno parte della partecipazione?
A volte può anche capitare che una "partecipazione digitale" possa diventare anche fisica. E' il caso delle rivoluzioni del mondo islamico. Se è vero che tutto è partito dal passaparola in internet, tanto da far nascere il termine "Rivoluzione 2.0", è anche vero che la rivoluzione è passata dai computer alle strade. E i risultati sono davanti agli occhi di tutti.
Ultima nota. Sempre nel Surplus cognitivo (pag. 21) Shirky cita il concetto looky-loo di Dave Hickey. Questo è un tipo di pubblico (il padre di Hickey era un musicista) interessato solo a consumare. Ma il consumo (di arte in questo caso) non è una forma di partecipazione? Non si sta lo stesso all’interno di una dinamica partecipativa? Il semplice atto di acquistare non è una partecipazione a far crescere la popolarità di un artista? 

mercoledì 18 maggio 2011

Stephen Wiltshire il ragazzo che disegna le città a memoria


Questo è il video del ragazzo autistico di qui abbiamo parlato a lezione. In questo video disegna Roma dopo averla vista con un giro in elicottero!

martedì 17 maggio 2011

Cosa è un sito di Social Bookmarking?


Ecco un video davvero molto molto semplice che spiega cosa è e come funziona unsito di Social Bookmarking.

Come funziona un Social Network


Ecco un video simpatico che spiega a grandi linee come funziona un social network.

lunedì 16 maggio 2011

In media veritas

Nanni Moretti, nel 1998, in una scena del film "Aprile" ironizzava sui giornali italiani: erano tutti uguali. A distanza di oltre un decennio la situazione della stampa quotidiana non appare molto cambiata, anzi.




Per la fortuna di chi considera un giornale come "la preghiera dell'uomo moderno", internet è stato artefice di un piccolo miracolo nel campo dell'informazione, premiando (e punendo allo stesso tempo) gli editori alla ricerca forzata di nuovi modelli di business, dando spazio alle nuove forme di giornalismo così dette partecipative.

I blog hanno conquistato sempre più autorevolezza nel campo dell'informazione e non è un caso che Beppe Grillo, Claudio Messora e Piero Ricca abbiano un'interessante fetta di lettori nonostante siano spesso tenuti in penombra dai sistemi mainstream.

Tra i prodotti editoriali più interessanti spicca  Il Fatto Quotidiano, giornale online e cartaceo che in fase di start up era nato con il sito internet L'Antefatto, per poi entrare a pieno regime nel settembre del 2009. Il giornale, nonostante non riceva alcun finanziamento pubblico, riesce ad essere immune dall'emorragia finanziaria che sta coinvolgento i grandi nomi dell'editoria, chiudendo l'anno 2010 con i blianci in attivo.


Degni nota  anche Lettera43, Giornalettismo, e sopratutto Il Post che si ispira allo statunitense Huffington Post, fondato dalla giornalista Arianna Huffington.

Senza disdegnare progetti di citizen journalism come AgoraVox, GlobalVoices e YouReporter, una voce di approfondimento nuova la offrono le neonate  Linkiesta e Cado In Piedi, quest'ultima  frutto della casa editrice Chiarelettere e curata dalla Casaleggio Associati di Milano.

Se la storica formula "Follow the money" - usata dai giornalisti del Washington Post in occasione dello scandalo del Watergate - è una regola aurea per un'inchiesta giornalistica, lo è altrettanto per capire quanto una testata possa essere credibile. Oltre a controllare un eventuale finanziamento pubblico che rende il giornale una mera cassa di risonanza della politica, ad onor del vero, è sempre opportuno fare uno screening della società editrice e della relativa concessionaria pubblicitaria, visto che l'advertising può condizionare notevolmente la linea editoriale, come denuncia Giuseppe Altamore nel libro "I padroni delle notizie".

Larry Lessig: creatività, tecnologie digitali, legge

Lawrence (Larry) Lessig è un giurista statunitense, professore alla Harvard Law School, fondatore e amministratore delegato di Creative Commons. Uno dei temi più affrontati all'interno dei suoi contributi è senza dubbio il rapporto che sussiste tra creatività, tecnologie digitali e legge.
Navigando su youtube ho trovato questo video, un intervento alla TED Conference, in cui Lessig spiega le caratteristiche di quella che lui chiama Read Write Culture. Ho pensato così di riportare il contenuto della parte centrale del suo discorso.

Una cultura Read Write si definisce tale quando le persone partecipano nel processo di creazione e di ri- creazione della stessa. Una cultura Read Only esiste quando la creatività è passiva e il consumatore non è creatore allo stesso tempo.

Secondo Lessig uno degli aspetti sicuramente più significativi di ciò che Internet sta facendo, è quello di rilanciare la cultura Read Write. Le tecnologie digitali e l'UGC celebrano la cultura degli amatori, ovvero persone che producono per passione e non per soldi.

Non si può parlare di pirateria quando si prende il contenuto di altri e lo si rielabora in forma creativa, dicendo cose in modo diverso. Ciò che conta non è la tecnica, piuttosto il fatto che questa tecnica sia stata democraticizzata. Questi strumenti di creatività sono quindi diventati strumenti di espressione.

La legge sembra invece andare in direzione opposta. Il copyright non incoraggia un tipo di cultura come quella definita Read Write.
Lessig propone allora due soluzioni: 1) che gli artisti, i produttori di contenuti scelgano di rendere i propri lavori più disponibili (per esempio l'accesso al loro lavoro può essere gratuito per usi non commerciali, a pagamento per usi commerciali); 2) che il mondo del business possa farsi portavoce di questo cambiamento e renderlo possibile.

martedì 10 maggio 2011

Anche Fido diventa "Social"

A proposito di privacy e connessione tra mondi virtuali e mondi reali, ho letto di questa azione di marketing un po' particolare. Foursquare è il servizio di geolocalizzazione più utilizzato e diffuso tra gli utenti, che competono e si divertono tra di loro. Uno dei suoi punti forti, infatti, è l’aspetto ludico, che spinge le persone a effettuare check-in per sbloccare i livelli e diventare sindaci dei luoghi che visitano. Da poco il servizio ha dato accesso ai Brand ed un esempio di business legato alla geolocalizzazione è proprio questo: un produttore tedesco di cibo per cani, "GranadaPet", ha sistemato per strada un cartellone digitale interattivo che elargisce una porzione di croccantini quando qualcuno si ferma davanti al manifesto e si collega, via smartphone, al social network Foresquare. Ogni volta che un passante fa chek-in sul sito, si apre uno sportellino, spunta una dose di croccantini e l'animale dell'interessato fa merenda sul posto.

Vedi il video e l'articolo

I sistemi di collaborazione in rete: La "peer production"

Vent’anni fa scoppiava la prima Guerra del Golfo e cambiò la tv


"La prima Guerra del Golfo, comunque, fu anche uno snodo nella storia dei media: si trattò infatti della prima guerra, come si disse allora, in diretta televisiva, e la professione dell'inviato sul campo di battaglia venne modellata sulle cronache e le esperienze di Peter Arnett, il giornalista della Cnn che raccontò la guerra dalla Baghdad bombardata. Vent'anni dopo le televisioni all news hanno raccontato molti altri conflitti, anche poi quella sensazione di "realtà raccontata per immagini" dalle tv è rapidamente svanita." [cit.]

Leggi l'articolo completo

PS: cercando in rete ho trovato un documento, che si occupa in maniera un po' più approfondita del rapporto guerra/televisione in particolare della guerra del Vietnam e del Golfo Persico.

lunedì 9 maggio 2011

Cosa condividiamo e con chi

Nielsen ha da poco pubblicato uno studio per Aol sull'attitudine a condividere. L'interesse è direttamente finalizzato a cogliere opportunità di business, ma la lettura è interessante e offre spunti comparativi. E vale la pena anche di dare uno sguardo alla grafica oltre che ai dati.


sabato 7 maggio 2011

Surplus Cognitivo

Il libro di Clay Shirky introduce il concetto di Surplus Cognitivo, presentandolo come una nuova risorsa ricca di interessanti oppurtunità per la nostra società. Al surplus cognitivo non corrisponde soltanto una quantità di tempo libero maggiore a disposizione: ad essa si associa lo sviluppo dei nuovi media come strumento di partecipazione, condivisione e discussione pubblica, ma soprattutto la motivazione. L’insieme di questi tre “ingredienti” crea il surplus cognitivo.
L’analisi dell’autore parte dalla descrizione della realtà londinese del XIX secolo. Il caos generato dalla ben nota industrializzazione portò a un fenomeno poi denominato Gin Craze. Il consumo di gin, che in quel periodo crebbe notevolmente, rappresentava qualcosa di gradevole e inebriante, un meccanismo di difesa per uomini e donne che si ritrovarono in una nuova realtà sociale da affrontare. Alla base è chiara l’esistenza un un mutamento sociale.

E noi? Qual è il nostro gin? Shirky, nell’epoca di transizione al mondo post industriale in cui sempre più persone sono pagate per produrre contenuti piuttosto che oggetti, identifica nel consumo di sitcom, tv e infomercial il nostro gin.

giovedì 5 maggio 2011

La sfera pubblica in Rete

Una grande conseguenza dell' economia dell' informazione in rete, secondo Benkler, è la transizione da una sfera pubblica di massa a una sfera pubblica in rete. Questo cambiamento si basa sulla libertà crescente di partecipare come singoli individui alla creazione di conoscenza e informazione e sulla possibilità che una sfera pubblica emerga accanto ai mass media commerciali. I mass media commerciali tendono a selezionare le questioni di interesse pubblico tralasciando alcuni aspetti. Essi danno ai loro proprietari un enorme potere nello strutturare le opinioni e informazioni e questo potere può essere usato direttamente o venduto al miglior offerente.

La sfera pubblica in rete, invece, permette agli individui di comunicare agli altri le proprie osservazioni e punti di vista, evitando il controllo dei padroni dei media. Questo è un dato fondamentale, in quanto le piattaforme dei nuovi media permettono a chiunque d'introdurre un'opinione, una critica o una preoccupazione nel dibattito pubblico. Inoltre, stiamo assistendo anche all'emergere di approcci nuovi e decentrati per sorvegliare sugli attentati alla democrazia e per partecipare al dibattito politico e alla vita delle organizzazioni politiche. Questi approcci sono diventati componenti standard della costruzione della sfera pubblica; ma hanno forme chiaramente non commerciali; forme che non sarebbero state sostenibili prima della nascita dell'ambiente dell'informazione in rete (Benkler 2007, 12-15).

Nei concetti riguardanti la sfera pubblica esposti da Benkler vi è un'analogia con il pensiero di Clay Shirky.
Shirky in "Surplus cognitivo" ci fa notare come le nuove tecnologie abbiano apportato cambiamenti inaspettati al nostro modo di percepire la realtà. Il cambiamento non è tanto insito negli strumenti quanto nel nostro modo di "connetterci" agli altri, un desiderio che i media tradizionali non soddisfano in quanto rendono passivo l'individuo. Il fare-e-condividere presente in Rete, al contrario rende l'individuo attivo sia nel pensare che nell'agire e questo si evidenzia maggiormente nei dibattiti sulle questioni d'interesse pubblico.

Un esempio che fa Shirky riguarda il sito Ushahidi, che informa i cittadini sulle esplosioni di violenza etnica. Nel dicembre del 2007, in occasione delle elezioni, si era creata una forte contrapposizione fra sostenitori e oppositori del presidente Mwai Kibaki, e Ory Okolloh, un' attivista politica keniota, quando il governo vietò ai media tradizionali di dare notizia dei disordini, cominciò a denunciare le violenze nate da questa situazione sul suo blog, chiedendo inoltre ai suoi lettori di postare comunque il suo blog, con mail e commenti, eventuali testimonianze di ulteriori fatti cui potessero aver assistito. Questo esperimento ebbe un gran successo: le notizie cominciarono ad affluire numerose.
La novità della sfera pubblica in rete era questa: prima di Ushahidi, la gente veniva a conoscenza delle violenze solo se si trovava passarvi vicino; non esisteva un servizio pubblico cui i cittadini potessero rivolgersi per conoscere i luoghi pericolosi o per capire cosa stesse succedendo o per offrire aiuto. Ushahidi fu creato per aggregare un sapere disponibile ma disseminato per riunire conoscenze frammentate di singoli testimoni in un quadro nazionale (Shirky 2010, 14-16).

Questo ci fa capire come la rete ha avuto e, continua ad avere, un importante implicazione sociale anche nel mobilitare gli individui in difesa dei propri diritti. La Rete, quindi, si afferma come strumento democratico che dà maggior potere al cittadino, rendendolo meno passivo di fronte a chi detiene il potere.

martedì 3 maggio 2011

Venti cose sul web e i browser

Nello scorso autunno un signore che si chiama Min Li Chan e che lavora per Google ha curato e pubblicato un bel libretto che spiega in termini molto semplici e diretti le principali innovazioni tecniche dei moderni browser, si intitola Venti cose che ho imparato sui browser e la rete.
In realtà non è un libretto ma una serie di pagine animate che simulano l'eperienza dello sfogliare un libretto senza usare la tecnologia Flash di Adobe, ma il nuovo standard HTML5. Il libro è in Inglese, si capisce abbastanza bene ed è corredato da bei disegni di C. Niemann. Quella che vedete qui accompagna il capitoletto sulla privacy.
I browser e le loro potenzialità sono una parte importante a livello micro della nostra esperienza e expertise della rete.
Io ho anche provato a farne una traduzione, insieme agli studenti della triennale. La cosa più difficile da tradurre sono le battute. Non è terminata, ma appena la ritrovo la condivido.

Internet nell' America del 2004

Ecco un rapporto su Internet e la vita quotidiana. E' del Pew / Internet, risale al 2004 e potrebbe essere utile per vederne la struttura, considerare le differenze con la rete di oggi e misurare la distanza tra le pratiche di quella società e la nostra. Con gli anni la riflessione dell'istituto sulla rete si è notevolmente approfondita e le tematiche affrontate in quel primo rapporto si sono moltiplicate e sono state via via enucleate. Uno sguardo alla produzione recente di ricerche permette di visualizzare, anche con un semplice colpo d'occhio ai titoli, la gamma delle questioni di più stringente attualità: dal rapporto che gli adolescenti hanno coi loro gadget, al tema della rete come strumento di autodiagnosi e terapia medica, dagli effetti dello spam alla fiducia nelle transazioni in rete, dai pericoli di isolamento alle nuove forme di socialità.

martedì 12 aprile 2011