giovedì 16 giugno 2011

Su di noi nemmeno una nuvola...o forse si

Un articolo del First monday di qualche mese fa si parla di musica. E di "nuvole".
Il riferimento non è a nessuna canzone dei Negramaro o tantomeno di Pupo.
Per chi non lo sapesse ancora, esiste tutta una serie di servizi, chiamati appunto cloud-based, che danno la possibilità di archiviare dati in rete permettendo di accedervi da un qualunque supporto, a prescindere dalla posizione geografica, alla sola condizione di avere una connessione.
Per quanto sembri una teconolgia moderna si tratta in realtà un ritorno al passato: basti pensare che il cloud computing risale al 1960, quando i pionieri dell'informatica collegavano tra di loro le diverse singole macchine a basso potenziale per aumentarne le prestazioni.
Questo enorme atto di fiducia nei confronti della rete (perchè di questo anche si tratta) oggi rispetto ad allora presenta sicuramente tratti innovativi, non solo, come ci si aspetterebbe, dal punto di vista puramente tecnico.
La tendenza oggi si sviluppa infatti non solo sul versante business-to-business (nel quale mostri sacri come Google, Microsoft e Amazon affittano il loro potenziale di archiviazione ad altre imprese) ma anche dal lato dei consumatori, i quali sono avvolti dalla nube, molto spesso senza nemmeno accorgersene.
Un recente studio suggerisce che più del 69 per cento di tutti gli americani usano un qualche tipo di servizi di cloud computing, anche se molti di loro non sono neanche a conoscenza del termine "cloud computing" o del suo significato. Basti pensare che rientrano nella categoria popolarissimi programmi di posta elettronica (come Yahoo o Gmail) e altri documenti on-line e strumenti di collaborazione (come Google Docs).
Queste tecnologie si sono "insinuate" nelle nostre attività online gradualmente, senza che la maggior parte degli utenti riuscisse a rendersi conto di aver già ceduto gran parte dei suoi dati alla nube.
Ma torniamo alla musica.
Nel settore specifico i servizi che la nube offre comprendono lo streaming, servizi in abbonamento, la possibilità di accedere ad enormi biblioteche musicali e lo spazio di archiviazione per file audio. Il tutto per una totale scissione della musica dal suo contenitore fisico.
Non è la prima volta che questa possibilità di prospetta, anche modelli precedenti come il pay per download del tipo proposto da Apple Music Store andavano nella stessa direzione.
Ci sono servizi di streaming basati su Internet come Pandora o Grooveshark che si basano sul modello di trasmissione radio con la creazione di flussi musicali personalizzati.
Aziende come Rhapsody, Rdio, Napster 2.0, MOG o eMusic che forniscono un servizio in abbonamento più formale in cui gli utenti affitto accesso ad una massiccia raccolta di musica per un prezzo mensile.
Infine ci sono i cosidetti siti "armadietto", come Musica Beta MP3tunes, Amazon Cloud Drive o Google che forniscono lo spazio di archiviazione insieme a siti di social network come MySpace, Last. Fm e Soundcloud - ibridi della radiodiffusione commerciale, social networking e riviste musicali - che mirano a costruire una comunità intorno alla scoperta della musica e di accesso alle discussioni, informazioni e altri metadati di musica.
Il servizio basato su cloud che sembra più pronto per il successo è quello di una società svedese chiamato Spotify (Van Buskirk, 2009). Esso fornisce accesso on-demand a oltre sei milioni di canzoni gratuite su Internet (con brevi annunci audio) ma se gli utenti vogliono spostare la loro musica su un dispositivo portatile, è allora che pagano un canone mensile (Van Buskirk, 2009). L'azienda è diventata il primo fornitore di musica digitale in diversi mercati europei (Van Buskirk, 2009; IFPI, 2011). Spotify spera di lanciare il suo servizio negli Stati Uniti, anche se la società ha avuto difficoltà a negoziare con i rami del Nord America delle maggiori etichette discografiche (Van Buskirk, 2009).
Anche se questi servizi differiscono in termini di cosa forniscono agli utenti, condividono il desiderio comune di rendere la musica disponibile ovunque. Ciò ha sicuramente delle implicazioni per il modo in cui si . Anahid Kassabian, per esempio, suggerisce che stiamo assistendo alla nascita di una nuova modalità di ascolto chiamato "ascolto diffuso" . La musica è onnipresente nella nostra vita, sia in termini di quanto è disponibile per l'ascolto e in termini di numero di dispositivi, luoghi e contesti in cui si incontrano musica. Ma se la musica sembra essere ovunque tutto intorno a noi, ha anche una certa sourcelessness, in quanto sembra non avere un'origine definita.
I Servizi cloud-based intensificano lo sviluppo di questa tipologia di ascolto "onnipresente". La nube rende la musica accessibile ovunque tramite Internet, senza occupare alcuno spazio sul disco rigido di un utente. Per Kassabian, l'ascolto onnipresente è la prova della "non linearità della vita contemporanea", in quanto nelle nostre vite tendiamo sempre più utilizzare i media contemporaneamente invece che in sequenza. Utilizzando la musica come sottosfondo a tante nostre attività, l'atto di ascolto si fonde con altre pratiche (Adorno, 2002; Denora, 2000; Kassabian, 2001). Gli utenti possono benissimo usare i loro lettori di musica per ascoltare musica, ma li usano anche per telefonare, scrivere, scattare foto, mandare e-mail, e connettersi. La musica diventa semplicemente una delle tante opzioni multimediali.
Stiamo quindi assistendo alla trasformazione della musica da bene a servizio?
Gli ultimi decenni hanno visto cambiamenti inauditi per quanto concerne individui ed istituzioni coinvolte nella creazione, commercializzazione, distribuzione, vendita e consumo popolare della musica registrata (Burkart and McCourt, 2006; Chanan, 1995; Garofalo, 1999; Jones, 2000; Sterne; Théberge, 1997; Tschmuck, 2006).
La prima reazione delle case discografiche è stata quella di iniziare una feroce campagna legale ed educativa, ritenendo la pirateria la vera colpevole della crisi. E questo nonostante le ricerche evidenzino in legame appena lieve tra file-sharing e perdita di ricavi, insieme alla creazione di nuove possibilità di crescita attraverso il web -la vendita di musica in formato digitale è rappresenta oggi il 29 per cento del valore di tutto l'industria musicale, cifra destinata a crescere nei prossimi anni (IFPI, 2011)-.
La vera crisi, se è giusto chiamarla così, non deriva dal mezzo, dal mutato rapporto delle persone con la musica soltanto attraverso il mezzo, e dal cambiamento quindi del ruolo svolto dalla musica nel mondo contemporaneo.
Esprimendosi in termine di "grande intruglio, bianco e soffice", sembra si tenda sempre a soffermarsi sugli aspetti positivi della nuvola. Come se per avere la nuvola non ci fossero dei centri fisici, e forse grigi, dove i dati vengono conservati.
Degli aspetti di rischio usando la nube esistono, ed è il caso di soffermarcisi un attimo.
Tom McCourt e Patrick Burkart, sostengono la tesi che il trasferimento della musica nella nube sia un passo verso il controllo tecnocratico della musica digitale. Pensiamo al caso della Apple: continui aggiornamenti dei software, sia per la regolare manutentenzione, ma anche per mettere in difficoltà gli utenti che usano software contraffatti. La musica nella nube è subordinata a tutta una rete di dispositivi, tecnologie e connessioni.
Secondo Richard Stallman bisogna fare attenzione all'aspetto commerciale della cosa ossia all'utilizzo che le aziende che offrono il servizio possano fare delle informazioni che acquisiscono su di noi attraverso i dati che gli cediamo in custodia (in termini di pubblicità sgradita e privacy a rischio). Gli utenti sono esposti a nuovi rischi: è esempio il caso di Spotify, in cui un hacker è entrato nel sistema avendo accesso ai dati personali degli utenti (dati spesso richiesti agli utenti per accedere ai servizi). Data la non territorialità della nube, diventa anche complicato decidere tra gli stati chi debba legiferare per difendere gli utenti della doppia minaccia della violazione della privacy e della pubblicità sgradita.
Jonathan Zittrain (2008) mette in luce le conseguenze di un rapporto continuo con chi distribuisce la musica. La connessione continua apre la possibilità di essere subito aggiornati su eventuali evoluzioni e progressi, ma anche di essere vittime inermi di eventuali fallimenti, come nel caso degli store musicale di Msn e Yahoo. Oppure di decisione prese dall'alto, come nel caso di Amazon che avendo venduto la versione digitale dei romanzi di Orwell senza averne ancora i diritti si è trovata a dover cancellare le copie già acquistate dagli utenti, con il loro comprensibile disappunto.
Inermi come di fronte allo spostamento delle nuvole sono soggette ai capricci del vento.
Si solleva infine un altro tipo questione, di ordine estetico: tenendo i dati in rete, si perde per l'utente la possibilità di controllare liberamente la loro gestione e l'organizzazione della musica quello che potremmo chiamare, il fascino della collezione.
I collezionisti potranno accettare che la musica diventi un servizio?
Natascia Palmina D'Amico



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