giovedì 16 giugno 2011

Su di noi nemmeno una nuvola...o forse si

Un articolo del First monday di qualche mese fa si parla di musica. E di "nuvole".
Il riferimento non è a nessuna canzone dei Negramaro o tantomeno di Pupo.
Per chi non lo sapesse ancora, esiste tutta una serie di servizi, chiamati appunto cloud-based, che danno la possibilità di archiviare dati in rete permettendo di accedervi da un qualunque supporto, a prescindere dalla posizione geografica, alla sola condizione di avere una connessione.

Indagine sulle attività svolte in rete da un campione di studenti della Facoltà di Sociologia


Dall'indagine "Aspetti della vita quotidiana", condotta dall'ISTAT a febbraio dello scorso anno, sono emersi dati molto interessanti sulle abitudini degli utenti italiani della rete. Tra gli intervistati, utenti con più di sei anni in un arco di tempo pari a tre mesi, è emerso che le maggiori attività svolte sono state: spedire o ricevere email (78,5%), consultare internet per apprendere (67,7%) e cercare informazioni su merci e servizi (62,8%). A seguire, tra il 45% e il 36% degli internauti, ha speso il proprio tempo su siti di social-networkink (45%), leggendo riviste on-line (44%), scaricando giochi, immagini, musica (41,2%), nel cercare informazioni sanitarie (40,1%), inserendo messaggi in chat, blog, forum (36,7%), cercare informazioni su attività di istruzione o su corsi di qualunque tipo (36,5%) o per caricare testi, immagini e fotografie su siti web per condividerli (36,4%). Per quanto riguarda l'ascolto della radio o la visione di programmi televisivi in internet, la percentuale scende fino al (31,3%), ancora di meno sono quelli che utilizzano servizi bancari on-line (30,2%), chi effettua videochiamate (22%) e chi cerca lavoro attraverso la rete (17%). In coda graduatoria, chiudono le attività di compra-vendita di beni o servizi (7,9%), chi ha sottoscritto abbonamenti per ricevere news (6,1%) e chi ha seguito un corso on-line (5,4%).

Rifacendomi alla lista di attività rilevate dall'ISTAT, ho creato un questionario su Gdocs, al fine di osservare le abitudini in rete degli studenti della Facoltà di Sociologia, analizzandone un campione di 57 soggetti, tutti iscritti al Corso di Laurea Specialistica di Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica con età media di 24 anni.

Dal test sono emersi risultati non sempre in linea con la stima nazionale: proprio dove l'ISTAT ha registrato una percentuale alta di utenti (78.5%) che utilizzano la rete per spedire e ricevere mail, appena il 63% degli studenti intervistati utilizza quotidianamente la posta elettronica. Un dato molto interessante se consideriamo il loro tempo di connessione registrato: il 22% da 1 a 3 ore, il 17% da 3 a 5 ore, il 20% da 5 a 7 ore e il 27% da 7 a 9 ore! E' evidente che probabilmente nel loro modo di comunicare abbiano messo un po' da parte l'utilizzo della posta elettronica, infatti il 90% degli studenti intervustati utilizza i social-network quotidianamente: la quasi totalità utilizza facebook e il 58% anche youtube. La maggior parte del campione non utilizza la rete per effettuare ricerche sulle informazioni sanitarie (47%) e per effettuare videochiamate (il 34% non ne ha mai fatta una e il 29% chiama una volta al mese col proprio pc). Il 15% degli intervistati, invece, utilizza la rete per seguire un programma radiofonico o televisivo e il 46% legge riviste e quotidiani on-line. Molta diffidenza è venuta fuori sull'utilizzo di servizi bancari in rete (il 44% non l'ha mai fatto) e sulla compra/vendita di beni e servizi, il 36% non ha mai effettuato una transazione in internet. Nessuno degli intervistati ha mai seguito un corso on-line.

Con questo test è stato confermato il dato dell'elevata attività di social-networking tra il campione di studenti, e ha rilevato il ridotto utilizzo di servizi di videochiamate online e di posta elettronica rispetto alla media nazionale. Poche tra tutte le attività elencate rientrano nella quotidianità di almeno il 50% del campione, restando in linea con i dati dell'ISTAT. Incontrastato resta il primato dell'utilizzo di facebook che si classifica come il sito più visitato e soprattutto quello dove i soggetti intervistati spendono la maggior parte del tempo della connessione a internet.

mercoledì 15 giugno 2011

Comunicazione Open



L’open data (dati aperti) è un altro degli aspetti che dimostrano come il modo di fare informazione stia cambiando nell’era del web 2.0. Informazione sia da un punto di vista prettamente giornalistico che da un lato legato prettamente alla comunicazione istituzionale.

Open data journalism - Gli esempi più noti di sono riferiti naturalmente a progetti come quello di Wikileaks o a fortunate esperienze come quella inerente allo scandalo dei rimborsi ai parlamentari inglesi, emerso grazie a dati resi pubblici su internet e rielaborati dal The Guardian con il contributo dei suoi lettori online.

Open data Italia - Nel nostro paese, tra i progetti più interessanti spicca sicuramente Open Parlamento promosso dall’associazione Open Polis. Per l'Italia la nota dolente non arriva tanto dai progetti di informazione e comunicazione no profit promossi dai cittadini, ma dalla pubblica amministrazione quando parliamo di comunicazione istituzionale. Nonostante ci siano norme come la legge 241/1990 in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti Amministrativi” e la 150/2000 che disciplina le “attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni” non siamo un paese fatto per una pubblica amministrazione realmente snella e soprattutto trasparente.
Come denuncia Guido Scorza, presidente dell’istituto delle politiche dell’innovazione,  nonostante l’Italia sia prima in Europa in termini di messa a disposizione online di servizi pubblici, siamo gli ultimi in termini di utilizzo di tali servizi. Come è possibile tutto questo ? Scorza spiega il paradosso dicendo: “Stiamo infatti spendendo milioni di euro in programmi e progetti di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (CEC PAC, PEC, Emoticons, certificati medici online, piani straordinari per la digitalizzazione della giustizia ecc) senza riuscire ad intercettare i reali bisogni e le vere esigenze dei cittadini che, per tutta risposta, continuano preferire - o forse sono costretti dall'inefficienza delle soluzioni informatiche sin qui elaborate a - mettersi in fila negli uffici pubblici e compilare pile di carta.

Pubblica amministrazione aperta - In tanti paesi europei, la pubblica amministrazione risulta essere tendenzialmente efficiente e soprattutto trasparente. Uno degli ultimi esempi è dato dal progetto del primo ministro francese François Fillon che con il portale www.data.gouv.fr renderà online una quantità enorme di dati prodotti dalla pubblica amministrazione francese. L’Italia per poter prender spunto da queste esperienze, potrebbe prestare attenzione alla seconda guida dell’associazione italiana per l’open government intitola “Come si fa Open Data” e presentata il 10 Maggio al ForumPA.

Come Si Fa Opendata Ver 2
 


La sfida della comunicazione – In un recente post di Ciro Pellegrino, storico redattore dell’ormai defunto “Il Napoli” (Gruppo E-Polis), evidenzia come la campagna elettorale del neo sindaco De Magistris sia sta impronta molto anche sull’idea di avere un comune trasparente al pari di un palazzo di vetro. Per la precisione, Pellegrino parla di comunicazione a 360°, toccando varie sfaccettature; una cosa è certa, la vera sfida per Napoli, oltre alla soluzione di problemi oramai storici, sarà proprio incentrata sulla comunicazione che poi è il vero tallone d’Achille di tutta l’Italia.

Avere una pubblica amministrazione veramente open, significa da un lato dare la possibilità ai cittadini di essere dei “cani da guardia della democrazia”, dall’altro di poter dialogare di più con gli stessi, in modo da migliorare i propri servizi senza doversi imbattere in una delle dodici fatiche di Asterix.

Privacy "followers"

In uno dei nostri incontri abbiamo riflettuto sul fatto che la generazione dei nativi digitali, in particolar modo quella americana, sia ormai abituata alla comunicazione via chat o social network e che, ancor di più, riesca a gestire con grande consapevolezza questo mezzo. A tal proposito ho trovato quest'articolo su The Guardian in cui le due autrici, Danah Boyd e Alice Marwick, si soffermano sull'uso che i teenagers fanno di Twitter.

Gli usi che si fanno di Twitter, specie tra i giovanissimi, sono i più svariati: a partire da chi ritiene sufficiente seguire (follow) i propri idoli e sperare di entrare in contatto con altri fan, a chi prende parte a concorsi o semplicemente arricchire la propria rete di conoscenze. Le due opzioni che Twitter offre sono: rendere i tweets (ovvero gli aggiornamenti di stato) visibili a tutti, oppure scegliere che essi vengano letti, e quindi commentati, da una rete scelta di contatti.

Sorprederà sapere che, contrariamente alle aspettative degli adulti sempre più preoccupati della gestione dell'immagine pubblica dei teens, i più giovani preferiscono condividere le proprie informazioni con un ristretto numero di persone. Il motivo può essere rintracciato nella volontà di "isolamento" in un ambiente digitale più ristretto rispetto a Facebook.
Anche la codifica dei tweets appare difficile: ricchi di riferimenti, anche se accessibili, essi possono non essere interpretati dagli outsider, quasi a voler rimarcare una volontà di creare piccoli gruppi e subculture.
In alcuni casi si parla di "social steganography", una tecnica di tutela della privacy molto in uso presso i giovanissimi che consiste nel pubblicare contenuti il cui significato può essere interpretato in modi diversi e le cui intenzioni comunicative vengono effettivamente colte soltanto da chi è a conoscenza di dettagli e informazioni personali di chi pubblica il contenuto.

In questo modo il confine tra pubblico/privato diventa più labile. Il fatto che oggi la privacy delle nuove generazioni sia messa più a rischio del passato non implica un'assenza di sensibilizzazione sull'argomento ma soprattutto un disinteresse, attraverso l'esperienza, nel gestire la propria privacy in pubblico.

martedì 14 giugno 2011

Ancora sulla partecipazione

Continuiamo il nostro discorso sul consumo partecipato ponendoci un altro quesito. Abbiamo sottolineato che esiste una nuova tipologia di consumo che abbiamo chiamato “consumo partecipativo”. Questa nuova forma comprende anche (e soprattutto) attività a titolo gratuito. Perché? Cosa spinge una persona a prendere parte a queste nuove pratiche?
Benkler spiega questo fenomeno affermando che le motivazioni sociali rafforzano quelle personali e ci riescono facendo leva su due tipologie di motivazioni sociali: le prime che dipendono dall’essere connessi e le seconde che dipendono dalla condivisione e la generosità. È il caso sei software gratuiti che circolano nella rete.
Le motivazioni che spingono a fare ciò sono di due tipi: private e pubbliche. Ovvero motivazioni intrinseche, quando si opera in circostanze private, e motivazioni estrinseche quando si opera in circostanze pubbliche.
Oggi possiamo trarre più valore da una partecipazione volontaria grazie alla maggiore connettività, alla nostra facoltà di immaginare cosa questa partecipazione può permettere. Non è quello che avviene con piattaforme come Wikipedia?

mercoledì 8 giugno 2011

I Nativi Digitali

La prepotenza e la rapidità con la quale i media digitali, e Internet nello specifico, si sono innestati nella nostra società, porta a un'inevitabile riflessione sulle nuove generazioni, quelle i cui membri sono definiti nativi digitali.

Come si può facilmente immaginare, non tutti i giovani sono nativi digitali: questi ultimi condividono una cultura comune che non è definita necessariamente dall'età, ma da certe caratteristiche ed esperienze in parte specificate dal fatto di esser cresciuti immersi nella tecnologia digitale. E' su questo argomento che hanno condotto i loro studi Urs Gasser e John Palfrey (il primo executive director della sezione Internet and Society del Berkman Center, il secondo co- direttore nello stesso centro di ricerca) in un libro del 2008 dal titolo "Born Digital: Understanding the First Generation of Digital Natives".

Le caratteristiche tratteggiate dagli autori in merito al nativo digitale possono però essere riscontrate anche in altre "categorie". E' bene quindi chiarire quali sono queste categorie individuate e quali i tratti fondamentali.
1) Born Digital, Live Digital (quelli che nascono nel periodo tecnologizzato e che vivono le tecnologie) sono detti Nativi Digitali
2) Born Digital, Not Live Digital (quelli che nascono nel periodo tecnologizzato ma che non vivono le tecnologie
3)Not Born Digital, Live Digital (le generazioni che non sono nate nel periodo digitale ma che fanno uso della tecnologia digitale)
4) Not born Digital, Not live Digital, che stanno cercando un loro percorso nel mondo digitale sono definiti Digital Immigrants
5)Not born digital e che non hanno nulla a che fare col mondo digitale per ragioni di scelta, sociali, economiche etc.

Il termine Nativo Digitale non definisce quindi una generazione quanto un modo di far esperienza, in questo caso con le nuove tecnologie. Ci si riferisce infatti a chi capisce che il mondo è costituito da reti, che le culture si estendono oltre delle semplici coordinate geografiche e che le tecnologie digitali aiutano a far fiorire le culture in tanti modi diversi. L'aspetto peculiare dei nativi digitali è che la loro priorità non è essere semplicemente online, quanto usare la tecnologia come un artefatto che permette loro di diffondere cultura. E' quindi un nuovo modo di pensare e vivere la cultura che, in un'ottica di gestione autonoma delle informazioni e dialogo con le istituzioni può veramente dar vita a nuove forme democratiche.

Girovagando sul sito del Berkman Center ho scoperto un'intera sezione dedicata ai Born Digitals che, tra le altre cose, raccoglie dei video realizzati dai summer interns, ovvero giovani studenti alle prime armi con il mondo della ricerca e del lavoro, proprio sul tema Born Digital. Vi invito a guardarli perché trovo interessante scoprire il modo in cui queste nuovissime generazioni utilizzano i lunguaggi delle nuove tecnologie per parlare dei più disparati argomenti (attivismo, overload informativo, qualità, sicurezza, identità) attraverso il "filo rosso" del digitale.

domenica 5 giugno 2011

Social Network: usi e opportunità

Affrontando in questi ultimi mesi l'argomento "Internet nella vita quotidiana" è stato quasi inevitabile confrontarsi sui Social Network. Che uso ne facciamo? Si può parlare di dipendenza in certi casi, o è semplicemete un modo di comunicare recentemente esploso e destinato a terminare? E' stato più volte sottolineato come il 2007 sia stato l'anno del boom del social networking, anche se il fenomeno è nato ben prima. Il 1995 infatti, nasce Classmates.com, con l'intento di far riallacciare contatti con i compagni di scuola. Nel 2003 un altro punto di svolta importante è sancito dalla nascita di MySpace, dalla nota semplicità d'utilizzo, e nel 2005 con Youtube.

Ormai due anni fa, lessi per la prima volta un testo di Patrice Anne Rutledge pubblicato nel 2008, dal titolo "Social Networking", dedicato alle molteplici forme e usi che si possono fare dei social: dal tempo libero, alla ricerca di un lavoro, alla creazione di un business e al suo mantenimento. La varietà di offerta possibile su questi siti è spaventosa e non è eccessivo affermare che a ognuno spetta il suo social network. L'abitudine tutta italiana di considerare quasi esclusivamente Facebook (recentemente è avvenuto un decollo di Twitter nella nostra penisola), oscura una larga fetta di nicchie interessanti che evidenziano l'utilità dello scambio di informazioni che avviene su queste piattaforme (cafemom.com; dogster.com; shelfari.com).

Non meraviglia che l'argomento nel corso di questo ultimo decennio abbia appassionato gli studenti e i ricercatori di comunicazione, che hanno suddiviso il campo di indagine in più aree riguardanti: a) la costruzione dell'identità, b) la creazione del network e la sua struttura, c) la differenza tra i social network off e online, d) la preoccupazione sulla privacy.

Ad attirare la mia attenzione sull'argomento è stata una pubblicazione recente (2010) di Ezster Hargittai, professore associato del dipartimento di Communication Studies della Northwestern University, Illinois, dal titolo "From Dabblers to Omnivores: a typology of Social Network Site Usage" [Dai dilettanti agli onnivori: una tipologia d'uso del Social Network].

In questo lavoro Hargittai si chiede se esistono sostanziali differenze nell'uso dei social network tra gli utenti occasionali e frequenti e se è possibile riscontrare una differenza tra chi è fedele a un solo sito e chi invece è attivamente coinvolto in più di uno. Per definire le varie tipologie, nel lavoro sono state prese in considerazione sia la frequenza con la quale visitano questi siti, sia il numero di Social Network a cui partecipano. Questi i risultati:

Dabblers = coloro che frequentano un solo sito saltuariamente
Samplers = coloro che visitano più di un sito ma non spesso
Devotees = gli utenti attivi su un solo sito
Omnivores = gli utenti attivi su più siti

Gli studenti di college tra i 18 e i 19 anni sono stati un campione perfetto per la ricercatrice e i suoi collegh, con lo scopo di analizzare i diversi livelli e intensità della partecipazione ai siti di social networking. Dalle rilevazioni sono emersi dei dati importanti: il genere per esempio, è un fattore di differenziazione quando si parla di intensità d'uso (la percentuale d'intensità d'uso tra le donne è superiore a quella maschile). Ancora, gli studenti che non vivono in famiglia sono portati a fare un uso maggiore dei social network; esiste una correlazione tra il tempo speso online, le capacità di utilizzo della rete e l'intensità dell'uso dei social network.

Come per tutti i fenomeni, anche per i social network è lecito chiedersi se e quando avverrà un calo evidente di iscrizioni e partecipazione. Prima dell'avvento di Facebook per esempio, era MySpace il social di riferimento nelle comunità dei giovani o di chi voleva condividere i propri interessi. Attraverso quali forme si espliciteranno la partecipazione e la condivisione nella rete? Pare comunque che, almeno per un po' di tempo, i social media saranno lo specchio di esigenze di partecipazione, come è attestato da un report di JWT, secondo cui i giovani sotto la soglia dei 30 nutrono una grande preoccupazione di non essere inclusi, la cosiddetta FOMO (fear of missing out, paura di essere tagliati fuori) e i social network sono estremamente efficaci nell'evitare questo scenario.

Derrick de Kerckhove: "L'architettura dell'intelligenza"

"Questo libro è un tesoro. Di intuizioni, di link, di percorsi".
Tale è l'incipit della Prefazione di Antonino Saggio al libro di Derrick de Kerckhove, guru dei nuovi media, "L'architettura dell'intelligenza" (2001). Il testo, oltre a essere ricco di idee, ci mette profondamente in crisi, misurando di volta in volta il nostro know - how tecnologico, sociologico o filosofico con ciò che lo studioso propone.

Un primo aspetto da considerare è il metodo adottato da Derrick de Kerckhove nello scrivere il testo: lo studioso ha messo in rete il libro mentre lo stava facendo (p. 6).
Questa è stata un'intuizione brillante dello studioso, che ha permesso al mondo della Rete di accedere alle sue conoscenze e di connettere, forse per la prima volta, intelligenze e individui intorno a sé.
Un secondo aspetto su cui riflettere è il contenuto. Il guru dei nuovi media affronta la necessità di creare un nuovo alfabeto, consono alle strutture e allo "spazio" della Rete.

Nel primo capitolo lo studioso pone la questione dello spazio creato dalle nuove tecnologie, dove l'architettura dell'intelligenza diviene l'architettura della connettività, mettendo insieme tre ambienti spaziali in cui viviamo oggi: mente, mondo e network.
Lo studioso sostiene che la comparsa del cyberspazio, creato da Internet, ci porta a riconsiderare del tutto i precedenti due tipi di spazio (mente e mondo).
Ma facciamo un passo indietro, tornando all'epoca di Ippodamo da Mileto per constatare quanto l'urbanistica sia determinante per la configurazione dello spazio. Ippodamo da Mileto è stato il primo a introdurre nella storia occidentale ciò che sarebbe diventato la tipica griglia urbana del Nord America, l'unico luogo a essere fino a poco tempo fa esclusivamente fondato sull'alfabeto fonetico. In questo modo, Ippodamo immette un principio di razionalità che ha avuto delle ricadute considerevoli su ogni aspetto della vita romana. Ma sarà l'invenzione della stampa a rafforzare decisamente la concezione di spazio come noi lo intendiamo oggi.

La connessione fra l'alfabetizzazione greca e la griglia urbana è diretta, perché l'uso delle lettere per i fonemi del linguaggio ha introdotto fra le culture che ne hanno fatto uso una nuova relazione con lo spazio (p. 8). L'alfabeto è stato ed è una tecnologia centrale nell'elaborazione umana dell'informazione, quindi ha anche delle ricadute rilevanti sul modo in cui è strutturata, oggi, la rete.
Sullo stesso principio di analisi ritroviamo alcuni concetti come quello di "prospettiva", che a sua volta riflette la modalità di elaborazione delle informazioni che un cervello alfabetizzato adotta quando considera lo spazio. Qui diviene centrale il cosiddetto "chiasmo ottico", il quale divide le funzioni visive fra l'emisfero destro (che afferra la visione) e l'emisfero sinistro (che la analizza). Entrambi le funzioni sono eseguite uniformemente sull'intero spettro visivo disponibile.

Tuttavia tutto quello che vediamo, secondo i neuroscienziati, è anche frutto di una costante attività di calcolo e taratura. Una mente allenata dalla lettura ad analizzare il testo può facilmente analizzare lo spazio. E la prospettiva si configura proprio come analisi dello spazio nel tempo, attraverso la distanza. Una mente dedita alla lettura potrebbe anche essere in grado di organizzare e pianificare lo spazio circostante.

Una mente dedita alla lettura, Marcus Vitruvius Pollio, ha prodotto il primo completo trattato di architettura, prezioso, in quanto contenente, in ogni capitolo, una sorta di compendio dei precedenti testi di architettura, in particolare quelli risalenti all'epoca greca.
I principi sostenuti da Vitruvio sono Firmitas, Utilitas, Venustas, ovvero stabilità, utilità, bellezza. Di queste qualità le più importanti sono: dimensioni, armonia, proporzioni, simmetria, ornamento e colore. E' evidente la tendenza visiva di questo insieme di principi: la bellezza nell'arte e nell'architettura occidentale è oggetto di visione, ignorando tutti gli altri sensi. La percezione globale dell'edificio è dominata dalla visualizzazione della facciata, l'edificio è qualcosa da guardare. Questa inclinazione visiva pone le persone alfabetizzate in relazione "frontale" con il mondo. Questa relazione è oggi messa in crisi dai network e dalla realtà virtuale.

Un altro concetto da esporre è quello della "Rappresentazione". La tendenza alla rappresentazione nasce generalmente da un bisogno della mente di comprendere ciò in cui è coinvolto il corpo (p. 12). Attraverso l'alfabetizzazione, la tendenza alla rappresentazione è rafforzata dai lettori che traducono il testo nelle immagini rappresentate dalle parole. Il motivo per cui la tendenza visiva domina la cultura alfabetizzata è da ritrovare nella lettura, che richiede alla mente di sviluppare un processo di visualizzazione come "immaginazione". Letteralmente, l'immaginazione è il potere di creare immagini nella propria mente. Quindi, l'interpretazione di un testo ci richiede un esercizio costante delle nostre capacità immaginative (ibidem). Noi impariamo a interiorizzare il campo visivo riproducendolo nell'immaginazione e, in questo modo, costruiamo la nostra mente.

La mente dell'individuo occidentale lavora non guardando fuori, ma "dentro": l'occhio ha la funzione di una lente che separa chiaramente l'interno dall'esterno e inverte l'asse dell'osservazione verso un "teatro interiore", una costruzione teoretica che chiamiamo mente, ritenendolo un universo completamente individuale. Questo è lo "spazio mentale" che costruiamo attraverso la nostra esperienza quotidiana. E' il nostro spazio intimo, interno. Così, ordiniamo le nostre menti.

I lettori dell'alfabeto, quindi, possiedono due spazi: uno dentro la testa e l'altro fuori. Per realizzare una sorta di coesistenza fra i due spazi è necessario che lo spazio esterno sia fisso, mentre quello interno mobile, seppur avente caratteristiche razionali. Ed è in relazione alla "mente privata" che si sta verificando uno sviluppo psicologico nuovo: la formazione della mente connettiva.

Oggi lo spazio interno è stato probabilmente ristrutturato dai media elettronici: TV, radio, computer e Internet. Insieme, essi costituiscono il cyberspazio: sono compresi nel World Wide Web. C'è una nuova connettività fra le menti private nel mondo.
Uno schermo connesso è una mano direttamente nel mondo, è il portale attraverso cui le menti interagiscono. La mente privata è connessa ad altre persone nel cyberspazio e quest'ultimo è percepito come un vero e proprio spazio perché ha un dentro e un fuori.

Derrick de Kerckhove sostiene che vi è un problema riguardo al principio di occupabilità del cyberspazio. Internet e il web sono entrambi virtuali, un fatto che coloro che promuovono la Realtà Virtuale (RV), spesso mancano di riconoscere (p. 16). Tuttavia, è proprio la virtualità del cyberspazio che lo rende affine a uno spazio mentale. Il cyberspazio è senza dubbio diverso dallo spazio fisico. E' un ambiente che permette la configurazione delle reti. Ma anche lo spazio mentale è virtuale: entrambi sono dotati di memoria, entrambi elaborano le informazioni ed entrambi sono dotati di intelligenza.

Il cyberspazio è parzialmente integrato con gli altri tipi di spazi che occupiamo (lo spazio fisico e mentale). Ha bisogno di strutture e gestione e nonché di considerazioni architettoniche (p. 17).
Secondo Anna Cicognani, gli architetti dovrebbero avere un'autorità nella costruzione degli ambienti on line. L'architettura potrebbe fornire un terreno di esplorazione e di correlazione per i tre spazi.

A questo punto, è utile una comprensione di come l'architettura entri in rapporto con gli altri due spazi (mente e mondo). Questo è il significato di "architettura connettiva". L'architettura connettiva è quella che provvede all'inteconnettività fisica e mentale dei corpi e delle menti; è basata sulla nozione che esista qualcosa come le menti interconnesse e che le loro connessioni siano sostenute da tecnologie che permettono loro di riunirsi in momenti specifici. L'architettura connettiva, attraverso l'uso di software e hardware, facilita la libera riunione e separazione delle menti che collaborano a uno scopo comune (p. 18). Le forme di mediazione che si sviluppano in rete non sono né individualiste né collettive, ma connettive. Mentre le prime due forme assumono una singola direzione, quelle connettive sono più versatili, più aperte, e basate sull'eterogeneità dei loro membri.
L'architettura dell'intelligenza affronta la sfida a scoprire le strutture delle reti più efficaci a moltiplicare la mente attraverso la mente (ibidem). Essa riguarda la gestione unificata dello spazio fisico, mentale e virtuale, con l'obiettivo di comprendere specificamente dove e come essi interagiscono (p. 70). Questo lavoro probabilmente richiede la formazione di una nuova professione, il "cybertect", che dovrebbe creare sentieri affidabili e ambienti utili nel cyberspazio e fra il cyberspazio e lo spazio reale. Così come l'architettura si occupa di costruire luoghi per le persone che si trovano faccia a faccia, l'architettura connettiva si occupa di strutturare connessioni, progettare forme e strutture di telepresenza e collaborazioni nelle reti fra luoghi reali (ibidem). Un cybertect dovrebbe considerare soprattutto il modo in cui le persone entrano in relazione in un mondo prevalentemente cognitivo.

Studiosi come William Mitchell, Thomas Horan, Mark Surman e Darren Wershler - Henry propongono diversi principi su cui deve fondarsi l'architettura dell'intelligenza (cap.5).
William Mitchell introduce i seguenti principi:

1. Dematerializzazione, ovvero sostituzione di cose materiali con cose immateriali, come la lettera sostituita dall'e-mail.
2. Smobilitazione, cioè muovere bit è più facile che muovere persone (come ad esempio la possibilità di lavorare da casa).
3. Personalizzazione di massa, cioè utilizzo di silicio e software su vasta scala per la consegna soltanto di quello che è richiesto nei contesti specifici (per esempio, giornali personalizzati, aggiornamenti automatici ecc.).
4. Gestione intelligente, ovvero mettendo intelligenza nei congegni possiamo ridurre gli sprechi (per esempio sistemi di irrigazione intelligenti)
5. Trasformazione dolce, ovvero adattare nelle aree sviluppate il comune fabbricato esistente, gli spazi pubblici e l'infrastruttura di trasporto in base ai nuovi requisiti richiesti.

Thomas Horan espone altri cinque principi chiave:

1. Progettare per la molteplicità, ovvero considerare la possibilità delle persone di compiere attività giornaliere a qualsiasi ora, in qualsiasi luogo.
2. Progettare insieme luoghi tradizionali, cioè il bisogno di progettare luoghi digitali e di rispettare al tempo stesso luoghi tradizionali come case, biblioteche e scuole.
3. Progettare oltre l'architettura, cioè considerare i rapporti sinergici fra scambio elettronico e scambio fisico.
4. Progettare per la comunità, ovvero connettere reti civiche.
5. Progettare in collaborazione, cioè bisogno di includere gli utenti nella creazione di nuovi ambienti high - tech.

Infine, March Surman e Darren Wershler - Henry ci ricordano che, nel cyberspazio, sono le persone a fare la differenza, non la tecnologia. Questi sono i principi da loro proposti:

1. Il collettivo è l'appendice killer di Internet. La differenza fra Internet e tutte le precedenti forme dei media è il ruolo che attribuisce alle persone. Quest'ultime, connettendosi in relazioni molti-a-molti, formano comunità, connected intelligence.
2. On line, siamo sempre più grandi della somma delle parti. Le persone creano qualcosa di più grande di se stesse quando sono connesse fra loro.
3. Nell'economia dello spazio comune, per prosperare occorre condividere il potere.
4. Il reciproco interesse personale costruisce comunità... e colpisce le corporazioni parassite. In Rete tutto ciò che si fa per se stessi può essere utile anche agli altri.
5. Nello spazio comune, quindici minuti di celebrità sono una ricompensa migliore del denaro. Specialmente negli sforzi tecnici, fare qualcosa di intelligente e guadagnarsi il rispetto dei propri pari è la più grande soddisfazione.
6. La tecnologia distribuita cresce. La tecnologia solitaria muore. E' necessario che si creino dei dispositivi in grado di permettere relazioni molti-a-molti fra le persone e di dialogare con altri strumenti usando standard aperti.
7. La rivoluzione viene da posti più strani. Nuove grandi idee nello spazio comune difficilmente vengono fuori da un laboratorio.

Rivisitando le pagine del libro di Derrick de Kerckhove, possiamo concludere che il principio fondante dell'architettura dell'intelligenza è la democrazia, la quale, secondo lo studioso, "riconosce la connettività come una nuova entità politica, richiedendo chiara comprensione dei suoi diritti e privilegi accanto a quelli della collettività e a quelli dei privati cittadini" (p. 79).

A questo punto è d'obbligo dire che il libro "L'architettura dell'intelligenza" si configura come un tesoro di link e di percorsi, ma soprattutto di idee, che permetteranno agli esperti di approfondire la relazione esistente fra la mente umana e la Rete, al fine di creare uno spazio comune e condivisibile, sempre più adatto e funzionale alla nuova società.

venerdì 3 giugno 2011

Dinamiche di potere nell'informazione di rete

Ho trovato molto interessante un approfondimento di Manuel Castels sul potere nella rete, nella società dell' informazione. L'articolo, Switching Power: Rupert Murdoch and the Global Business of Media Politics: A Sociological Analysis, inizia con un "abstract" in cui si presenta l'ipotesi che nella società contemporanea, occupare una posizione nei punti di collegamento tra le diverse reti, rappresenta una forma di potere molto importante; poi viene introdotto il caso della "NewsCorp" e la capacità di Rupert Murdoch, suo maggior azionista, di negoziare nelle dinamiche di potere.
Castels individua subito due strategie per la formazione del potere in rete: una è quella di esclusione di altri soggetti (individui o comunità) dalla rete stessa, l'altro invece, corrisponde sia all'abilità di programmare/riprogrammare la rete che all'abilità di collegare e controllare i punti strategici di raccordo tra le reti. Esistono quindi realtà come quella di NewsCorp in grado di connettere reti politiche, economiche, militari e scientifiche che risulta essere molto influente nella formazione dell'opinione pubblica.

NewsCorp è uno dei primi quattro conglomerati mediatici degli Stati Uniti e del mondo, è il media corporate che raggiunge la percentuale più alta di persone nonostante non sia la prima in investimenti economici e in numerosità del personale. Il suo modello di business si basa su tre azioni principali: strutturare un controllo verticale e orizzontale dell'informazione e dei contenuti, espandere il mercato il più possibile e fare leva sulla pubblica opinione per rafforzare i legami di potere con le reti.

Queste strategie di espansione hanno portato alla NewsCorporation ottimi risultati dal punto di vista economico, e un dominio di parte della comunicazione mondiale. Una delle ultime mosse di Murdoch è stata quella di acquistare la piattaforma MySpace, un altro nodo centrale della condivisione di contenuti musicali da parte di milioni di utenti. Ancora una volta NewsCorp fa da connettore, questa volta per lo scambio della cultura musicale a livello globale.

La grande forza di NewsCorp di evolvere, estendere e controllare sistemi di connessioni rafforza l'impero mediatico di Murdoch: queste stesse azioni però, compiute da altri attori della rete, possono minare la stabilità di quell'impero. Numerosi sono infatti altri switcher e programmatori nelle reti, che modificano e generano nuovi punti di collegamento e condivisione delle informazioni.

mercoledì 1 giugno 2011

Partecipazione nel consumare


Qualche post precedente abbiamo introdotto uno dei temi centrali (secondo me) dell’utilizzo della rete nella vita quotidiana: la partecipazione. Ci siamo chiesti se l’atomizzazione, che si è accentuata con l’arrivo dei media digitali, possa realmente spingerci lontani da una “cultura partecipativa” e abbiamo raggiunto la conclusione che i media digitali possano far nascere nuove forme di partecipazione prima sconosciute.
Il post si chiudeva con un interrogativo al quale cercheremo di rispondere con questo nuovo intervento. Ci chiedevamo se i new media ci facciano entrare in pratiche meramente di consumo oppure se queste pratiche sono anch’esse una nuova forma di partecipazione.
Ci troviamo di fronte ad un'innovazione dovuta alla frammentazione dei canali di trasmissione dei messaggi, in questo caso del consumo. Questa costringe il consumatore a dover selezionare i messaggi che gli arrivono da tante fonti per poi scegliere quello che a lui è più idoneo. Il consumo quindi non è più passivo ma si trasforma in forma dialogica tra i due attori principali: il consumatore e l'impresa. Un esempio di questo dialogo è stato il concorso della Friskies per scegliere la confezione dei nuovi biscotti per cani. Il consumatore è interamente coinvolto nel processo di produzione. Ma questo processo è possibile perchè trova il suo compimento in Internet.
La rete, infatti, implica l’idea di connessioni che si instaurano tra attori sociali diversi e complessi. Ecco che accanto alle forme tradizionali di mercato si affiancano nuove forme che prevedono anche una conversazione tra consumatore ed azienda. In Internet il consumatore in rete assume, quindi, il ruolo di “acquirente/consumatore/produttore di domanda” di un bene (o servizio) ma anche “produttore/venditore/generatore di offerta”dello stesso bene (Pitteri, 2010, pag. 12). Un esempio sono le foto, video e tanti contenuti che vengono immessi in rete la cui possibilità produttiva è la conseguenza della accessibilità. Questo fa nascere, così, una nuova forma di consumo: quello partecipativo. Colui che partecipa a questo processo è un consumatore attento, partecipativo, alla ricerca di empatia, che non ha paura di mostrare i suoi gusti e giudizi, a cui i social network hanno fornito spazio, riconoscimento e strumenti per esercitare il proprio potere di stakeholder.