mercoledì 15 giugno 2011

Privacy "followers"

In uno dei nostri incontri abbiamo riflettuto sul fatto che la generazione dei nativi digitali, in particolar modo quella americana, sia ormai abituata alla comunicazione via chat o social network e che, ancor di più, riesca a gestire con grande consapevolezza questo mezzo. A tal proposito ho trovato quest'articolo su The Guardian in cui le due autrici, Danah Boyd e Alice Marwick, si soffermano sull'uso che i teenagers fanno di Twitter.

Gli usi che si fanno di Twitter, specie tra i giovanissimi, sono i più svariati: a partire da chi ritiene sufficiente seguire (follow) i propri idoli e sperare di entrare in contatto con altri fan, a chi prende parte a concorsi o semplicemente arricchire la propria rete di conoscenze. Le due opzioni che Twitter offre sono: rendere i tweets (ovvero gli aggiornamenti di stato) visibili a tutti, oppure scegliere che essi vengano letti, e quindi commentati, da una rete scelta di contatti.

Sorprederà sapere che, contrariamente alle aspettative degli adulti sempre più preoccupati della gestione dell'immagine pubblica dei teens, i più giovani preferiscono condividere le proprie informazioni con un ristretto numero di persone. Il motivo può essere rintracciato nella volontà di "isolamento" in un ambiente digitale più ristretto rispetto a Facebook.
Anche la codifica dei tweets appare difficile: ricchi di riferimenti, anche se accessibili, essi possono non essere interpretati dagli outsider, quasi a voler rimarcare una volontà di creare piccoli gruppi e subculture.
In alcuni casi si parla di "social steganography", una tecnica di tutela della privacy molto in uso presso i giovanissimi che consiste nel pubblicare contenuti il cui significato può essere interpretato in modi diversi e le cui intenzioni comunicative vengono effettivamente colte soltanto da chi è a conoscenza di dettagli e informazioni personali di chi pubblica il contenuto.

In questo modo il confine tra pubblico/privato diventa più labile. Il fatto che oggi la privacy delle nuove generazioni sia messa più a rischio del passato non implica un'assenza di sensibilizzazione sull'argomento ma soprattutto un disinteresse, attraverso l'esperienza, nel gestire la propria privacy in pubblico.

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