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mercoledì 20 giugno 2018

Sorveglianza e servizi di intelligence: La questione della privacy da Snowden a Zuckerberg

www.huffingtonpost.it 
Se nelle società democratiche l'obiettivo principale dei servizi di intelligence è quello di proteggere la sicurezza nazionale e i valori fondamentali di una società aperta, ben si comprende quanto il raggiungimento di un equilibrio volto a proteggere la popolazione dalle minacce e a salvaguardarne i diritti fondamentali sia di straordinaria importanza sebbene, negli ultimi anni, brutali attacchi terroristici e innovazioni tecnologiche abbiano complicato la questione suscitando preoccupazioni circa eventuali violazioni dei diritti alla vita privata e alla protezione dei dati nel nome della tutela della sicurezza nazionale. Più nello specifico, conseguentemente al caso Snowden del 2013 e al più recente scandalo legato a Cambridge Analytica, la privacy, da diritto individuale, si è trasformata in una vera e propria negoziazione collettiva, una sorta di patteggiamento costante con i propri amici e contatti, con i proprietari delle piattaforme e, naturalmente, con gli organismi statali, a seguito della quale - dal momento che sono gli altri, gli utilizzatori come noi, che contribuiscono alla nostra sorveglianza nel momento in cui condividono con noi le loro preferenze - è stato possibile evidenziare una radicale e profonda evoluzione dalla logica del "big brother" a quella che potremmo definire del "big other"In altri termini, infatti, il Datagate non ha fatto altro che mettere in luce la tendenza sempre più panoptica della società contemporanea e l'impossibilità di sottrarsi alla suddetta sorveglianza isolandosi o, per meglio dire, disconnettendosi, dal momento che i social network sono delle macchine che producono socialità, e il loro carburante sono le nostre informazioni personali (Se qualcosa è gratis, il prodotto siamo noi, ndr). In concomitanza con l’approvazione della normativa europea GDPR che dal prossimo 25 maggio imporrà ai colossi tecnologici di proteggere i dati degli iscritti pena multe salatissime, inoltre, il co-fondatore di WhatsApp Brian Acton ha lanciato l’hashtag #DeleteFacebook sottolineando come cancellare il profilo Facebook personale  potrebbe essere la soluzione più efficace per il mantenimento di una privacy che, in verità, a parer mio, non tutti gli utenti vogliono realmente salvagurdare. Esattamente come nelle campagne contro il tabagismo, infatti, se tutti i fumatori sono consapevoli delle conseguenze ma sono in pochi quelli che scelgono di smettere, così, probabilmente per l'esigenza di sentirsi parte integrante di un tutto, in questa battaglia a favore della privacy, tutti sanno ma nessuno vuole essere escluso. Per usare le parole di Dominic Basult, giornalista de il Post, "Non c’è bisogno di piangere la morte della privacy se si considera che averne troppa è un rischio come averne troppo poca. Dando ad essa eccessiva importanza, la società finisce per tendere verso l’estremo della segretezza, cosa che non porta vantaggio a nessuno. Il problema sta nel fatto di non avere ancora recepito il cambio di valori in atto: per questa ragione siamo tentati di considerare ogni intrusione nei nostri confronti come un’ «aberrazione», una cosa a cui si può porre rimedio solamente approvando una nuova legge. Ma approvare nuove leggi o, addirittura, istituire delle nuove giornate su un dato tema non funzionerà. "