martedì 28 aprile 2015

Le macchine e la costruzione della modernità - Pressed for Time cap. 2

di Alfonso Veneziano


La velocizzazione del ritmo della vita non è un’esperienza esclusiva dell’uomo contemporaneo, e non è neanche un tratto così generalizzato come si pensa. Si possono -e si devono- registrare continuità con il passato, nonché sottili ambiguità. 

La copertina del libro, 
The University of Chicago Press, 2015
Judy Wajcman (12 dicembre 1950) insegna sociologia alla London School of Economics and Political Science. Nel suo recente saggio Pressed for Time. The Acceleration of Life in Digital Capitalism, uscito nel 2015 e non ancora tradotto in italiano, interviene nel dibattito accademico sui cambiamenti della vita sociale, correlati all’avvento delle nuove tecnologie (ICT); in particolare, in merito alla percezione del tempo nel mondo contemporaneo. 

Il tempo. Nelle parole di Newton era “assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente”; per la Ragion pura di Kant era una “categoria a-priori” del nostro intelletto; Einstein lo considerava una “tenace illusione”, intimamente connesso alla dimensione spaziale, e dunque relativo. Per i sociologi, sulla scorta di Durkheim, “il fondamento della categoria del tempo è il ritmo della vita sociale”. È quest’ultimo il presupposto teorico di tutto il ragionamento della Wajcman. 


Possiamo già anticipare un punto fondamentale: la Wajcman è critica nei confronti del determinismo economico o tecnologico di certe interpretazioni che o plaudono o paventano -sovente con un pizzico di retorica- la “rivoluzione tecnologica” del XXI secolo, intesa nei termini di una netta cesura col passato, dovuta ad una generalizzata velocizzazione del ritmo della vita quotidiana, indotta delle ICT. L’Autrice presta grande attenzione ai processi culturali che implicano un mutamento dell’assetto valoriale, ma soprattutto guarda alle pratiche sociali empiriche, la cui disamina fa da contrappunto alle teorizzazioni dei classici. Ella, in questo modo, fuga le fallaci generalizzazioni e mostra l’ambivalenza delle tecnologie in riferimento al loro utilizzo pratico, nei termini del loro essere pro e -allo stesso tempo- contro la stessa velocizzazione del ritmo della vita, ormai, dai più, data per scontata. 

Qui illustriamo il secondo capitolo di Pressed for Time, che si apre con questa affermazione: «Noi tendiamo a pensare la società ad alta velocità come un fenomeno recente associato allo sviluppo delle tecnologie digitali. Tuttavia, affermazioni sulla tecnologia annichilente il tempo e lo spazio non sono nuove».


Per la Wajcman, il fenomeno dell'accelerazione del ritmo della vita, affonda le sue radici nell’humus materiale e culturale presente all’alba della modernità. Machines and the Making of Modernity è il titolo del capitolo. Ricorda l’Autrice che «alcuni teorici sociali fanno risalire la nostra ossessione per la misurazione del tempo [timekeeping] all’istituzionalizzazione del tempo scandito dall’orologio [clock time] sotto il capitalismo». La Wajcman però, l’abbiamo già detto, non è una materialista pura, perciò aggiunge, poco più avanti, che, seppure «la disciplina del tempo coinvolta nelle forme di produzione capitalistiche ha svolto un ruolo chiave nel plasmare i tempi moderni, da sola non può spiegare il cambiamento circa il rilievo culturale della velocità». È evidente: per Judi Wajcman non vi è una struttura economica o tecnologica che determina una sovra-struttura culturale, la questione è più complessa. 

Thompson aveva considerato il passaggio dai “ritmi naturali” legati all’economia agricola pre-moderna, al nuovo tempo legato alla produzione industriale, «sia come il risultato dei progressi nella misurazione del tempo, che dell’etica puritana che ha aiutato le persone ad interiorizzare l’idea che il tempo non debba essere sprecato». Si sente l’eco della lezione weberiana, ma Thompson pone l’accento sul fattore tecnologico. Così la Wajcman ci tiene a precisare col Dickens di Hard Time: «mentre il tempo dell’orologio standardizza il tempo, il tempo non ha pari valore per tutti». 

Per Marx, «un tempo vuoto, astratto e quantificabile, applicabile ovunque, in qualsiasi momento, è stata una precondizione per il suo utilizzo come valore di scambio astratto da un lato, e per la mercificazione del lavoro e della natura dall’altro». La monetarizzazione del tempo, insieme a rapporti di forza squilibrati, ha permesso al capitalista di estrarre plusvalore dal lavoro degli operai. L’educazione ad una nuova disciplina del tempo svolse certamente un ruolo funzionale al capitalismo. Ma per la Wajcman una prospettiva del genere, vede le cose in maniera unilaterale. 

Allora l’Autrice ricorda i contributi di Glennie e Thrift, per correggere il determinismo tecnologico verso il quale tende Thompson e quello economico di Marx; sottolinea la necessità di prestare attenzione ai fattori di continuità col passato, alle pratiche quotidiane e ai differenti registri che esse possono assumere: «non c’è stata una rottura improvvisa, o in meglio o in peggio, con l’avvento dell’industrializzazione. Eravamo e siamo in grado di interiorizzare e vivere con notazioni di tempo molto diverse, astronomico, biologico, privato e pubblico, e così via». 

Charlie Chaplin, Modern Times, 1936
In ogni caso, il valore della velocità diventa sempre più apprezzato tra i moderni: per restare in tema di lavoro, nei primi anni del XX secolo, sviluppi quali l’Organizzazione Scientifica del Lavoro e il taylorismo, resero ancora più incisivo l’uso degli orologi finalizzato ad aumentare la velocità di produzione. A tale riguardo, resta emblematica la rappresentazione cinematografica dell’operaio alienato in lotta contro il tempo, proposta dal grande Charlie Chaplin nel suo film del 1936, Modern Times

Dalla metà dell’Ottocento, la velocità è diventata una «potente narrazione culturale», l’idea di progresso, una «potente ideologia sociale». Ricorda la Wajcman come la stessa nozione di modernità, sia venuta ad assumere nel senso comune, il significato di un «processo storico di avanzamento costante e miglioramento del materiale benessere umano, causato dalla innovazione tecnologica». Il veloce progresso diventa l’ideologia dominante nell’Occidente capitalista: «il cambiamento quindi viene ad essere valorizzato sulla continuità, e una volta che questo viene accettato, la velocità del cambiamento diventa un bene auto-evidente». 

Per quanto riguarda l’analisi dei fenomeni culturali, l’Autrice, fa riferimento allo storico della cultura Stephen Kern, autore di una voluminosa rassegna di opere d’arte, letteratura, filosofia, architettura, scienza e tecnologia, che testimoniano la concezione dello spazio e del tempo, nel periodo che va dalla metà dell’Ottocento alla Prima Guerra Mondiale. Judy Wajcman attinge da questo autore per argomentare quello che è -lo ripetiamo- il tema centrale del secondo capitolo di Pressed for Time, e cioè la continuità con il passato dell’esperienza dei contemporanei della velocizzazione del ritmo della vita. 

Per la Wajcman, Kern descrive come le innovazioni culturali «si siano tra loro influenzate e ispirate a vicenda», mentre l’Autore de Il Tempo e lo Spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, nell’introduzione al suo libro, precisa che «la somiglianza tematica tra gli sviluppi ispirati dalla tecnologia e quelli indipendenti da essa, fa pensare che stava avendo luogo una rivoluzione culturale della più vasta portata, una rivoluzione che coinvolgeva strutture essenziali dell’esperienza umana e forme basilari dell’espressione umana» (Kern, 1983). Nell’interpretazione della Wajcman vi è un’influenza reciproca tra i prodotti culturali, essa non rinuncia del tutto a ricercare solo in essi i fattori determinanti i cambiamenti. Altra cosa fa Kern: egli ipotizza una variazione nelle «strutture essenziali dell’esperienza umana», che in qualche modo determina dall’esterno il mutamento culturale; egli, anche laddove potrebbe, non enfatizza mai l’influenza dell’una sull’altra produzione umana, ma rileva solo come alcuni fenomeni dal significato affine, si siano verificati nello stesso periodo: quasi una sincronicità, come la definirebbe C.G. Jung. Una ipotesi affascinante, che introduce una variabile fino ad ora poco considerata, un fattore di cambiamento che si situa nella struttura stessa della coscienza umana, il quale risulta implicato nella determinazione del rapporto dell’uomo col mondo; un dato più difficile da rilevare, ma non per questo meno importante. Ma torniamo a noi. 

Per Lord Salisbury, già nel 1899, il telegrafo aveva, “per così dire, assemblato tutti gli uomini su un unico grande piano”. La Wajcman può allora affermare: «l’emergere dello spazio globale non è così nuovo come pensiamo». In campo estetico, il Manifesto Futurista dichiara che nel 1909 “lo splendore del mondo si è arricchito di una bellezza nuova: la bellezza della velocità”. La voluttà della velocità aveva già stregato il mondo un secolo fa. 

Vittorio Corona, Bugatti, 1922
L’automobile assurge a simbolo dell’accelerazione novecentesca, ma la Wajcman ne sottolinea tutta l’ambiguità, in quanto, da un lato, è certamente implicata nella velocizzazione del movimento, ma dall’altro, diviene causa di ingorghi e di vita sedentaria. Questo è un perfetto esempio dell’attenzione dell’Autrice per la vita quotidiana e per le sue sfumature, utile ad evitare le ingenue generalizzazioni e i luoghi comuni. 

Dall’auto alla città. Anche l’impianto urbanistico inizia ad essere disegnato in funzione dell’automobile e della velocità. Le Corbusier: “una città fatta per la velocità è fatta per il successo”. La grande metropoli è per la Wajcman, insieme e più della fabbrica, un luogo fondamentale per comprendere le dinamiche della modernità. «La moderna metropoli è il luogo principale per l’intensificazione dell’uso del tempo, in quanto crea un insieme denso di possibili interazioni in piccoli spazi». 

Georg Grosz, Metropolis (Berlino), 1916-17
Un’altra interessante testimonianza riportata dalla Wajcman è quella di Simmel, il quale mette in relazione il tempo astratto degli orologi, con il valore astratto determinato dal denaro, in quanto entrambi conferiscono una calcolabilità ai contenuti della vita, almeno per quanto riguarda la loro gestione pratica. Ma «i soldi compiono la loro funzione solo attraverso la loro circolazione, e questo accelera ogni attività collegata con loro […]. L’impeto totalmente dinamico dell’economia monetaria, […] frantuma le relazioni stabili e costanti e crea una costellazione transitoria di relazioni in cui tutto è in divenire, senza punti di appoggio sicuri. […] Il tipo metropolitano classico, l’individuo blasè, soffre della “intensificazione della stimolazione nervosa che deriva dal cambiamento rapido e senza interruzioni di stimoli esterni e interni” […], in netto contrasto con il ritmo lento della vita rurale […]. Per Simmel, questi stessi processi sono anche responsabili de “gli elementi migliori e più alti della nostra cultura”».

A conferma della ricorsività di certe sensazioni, nella descrizione di Simmel delle relazioni umane nelle moderne metropoli, si possono individuare delle analogie con le osservazioni di molti teorici della post-modernità: c’è già qualcosa della Modernità Liquida di Bauman, avvertita 100 anni prima. Quasi corsi e ricorsi nelle esperienze fin de siecle: La metropoli e la vita dello spirito di Georg Simmel è del 1903, Modernità Liquida di Zygmunt Bauman è del 2000. 

Adrian Brannan, Charing Cross Road, (the Astoria), 2010 (?)
Attenzione però: «L’accelerazione del ritmo di vita non era allora, e non è oggi, una condizione uniforme della esistenza. La velocità e la mobilità rimangono differenzialmente distribuiti, accessibili e interpretati da vari gruppi a seconda delle circostanza». 
In conclusione, allo sguardo accorto della Wajcman «la velocità per pochi è correlata al fatto che altri rimangano fermi». Ai sociologi alla John Urry, il quale chiede una «nuova sociologia della mobilità», la nostra Autrice ricorda le diverse sfaccettature che mobilità e velocità possono assumere per le diverse persone, o anche per la stessa persona, in circostanze diverse. 

Il mondo moderno marciava a ritmo serrato, scandito dal discreto ticchettio dell’orologio e dal tamburo battente della fede positivista nel progresso materiale. Tutti volevano partecipare a quella bulimica fuga in avanti, alla ricerca di una estaticità orizzontale nella velocità. Coitus interruptus. Crepuscolo degli idoli. Due guerre mondiali: la “letteratura della crisi” registra Il Tramonto dell’Occidente. La storia non è finita sotto le macerie di quel Muro a Berlino. La post-modernità non è più e non è ancora. «Mai nulla nasce dal nulla» diceva Lucrezio, così tra continuità e il germe del nuovo, ci approssimiamo giorno per giorno al futuro.

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