mercoledì 2 dicembre 2015

Giornali: strategie di business per la sostenibilità in rete nel passaggio dalla carta al web.

di Suania Acampa

In un ambiente mediatico in continua trasformazione, che s’inserisce in un mercato difficile - in cui produzione e distribuzione stringono la gola agli imprenditori del settore - le testate giornalistiche come hanno affrontato la trasformazione dal cartaceo al digitale? Che strategie di business hanno utilizzato per la propria sostenibilità in rete? Insomma, quale sarà l’ambiente per il giornalismo del futuro?

Per far luce su questa questione è stato opportuno mettere a confronto due studi di settore: il primo è Chasing Sustainability on The Net curato da Esa Sirkkunen, Clare Cook e Pekka Pekkala, sullo studio di tre scuole di giornalismo internazionale (USC Annenberg California, University of Tampere Finlandia, Wasenda University di Tokyo). Il secondo è uno studio del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti presentato al Digit 2014. La metodologia di questi due studi è la stessa, entrambe hanno utilizzato le interviste semistrutturate per la raccolta dei dati da analizzare.

Chasing Sustainability On The Net
La ricerca internazionale ha mappato 69 startup giornalistiche di nove paesi nel mondo, inserendo i dati raccolti in un database chiamato SuBMoJour, il quale contiene, in dettaglio, i modelli economici utilizzati da ogni azienda analizzata.

Sul piano internazionale la ricerca ha individuato due tipologie di Startup: la prima tipologia tende ad utilizzare un modello economico orientato alla produzione di contenuti, mentre la seconda tipologia tende ad utilizzare un modello economico orientato ai servizi.
Il modello economico della prima tipologia di startup (risultato essere quello che prevale) tende a monetizzare il contenuto giornalistico in quanto tale, facendo largo uso della pubblicità e puntando sul dato di fatto che, il giornalismo online conta un pubblico estremamente di nicchia, ossia orientato a temi specifici quali hobbies, cronaca, tendenze psicografiche (stili di vita, orientamento culturale, moda, gossip, ecc).
Il modello economico della seconda tipologia di startup (risultato essere in crescita) punta all’offerta di servizi, quali possono essere training, organizzazione eventi, realizzazione progetti web, ma anche prodotti premium (e-book, feature interattive).



La pubblicità, che è risultata la fonte di ricavo più diffusa e comune a molte start-up, allo stesso tempo da sola non garantisce possibilità di sopravvivenza, perché la concorrenza si è moltiplicata e il valore della pubblicità tende a crollare sempre di più. Occorre inoltre ricordare che i colossi americani come Google e Facebook controllano gran parte del mercato pubblicitario, tutto questo provoca guadagni sempre più inconsistenti per le piccole testate e decisamente insufficienti per le grandi.

In particolare, lo studio delle università internazionali dedicato allo scenario dell’informazione italiana, è stato curato da Nicola Bruno (giornalista professionista e cofondatore di Effecinque). L’Italia (ma non solo) sta vivendo una vera e propria crisi economica della stampa, per motivi che possiamo ritrovare essenzialmente in un mercato pubblicitario sempre più piccolo, in un declino delle vendite dei giornali e soprattutto in un declino del numero di lettori. I lettori di nuova generazione sono più sporadici ed irregolari e tendono a ricercare contenuti informativi gratuiti (motivo per il quale la pubblicità – utilizzata dalla maggior parte delle testate on line al fine di dare contenuti gratuiti al lettore - tende ad essere una forma di business non sostenibile)

Questo studio ha evidenziato che i siti d’informazione maggiormente visitati in Italia  coincidono con le maggiori testate giornalistiche nazionali (fonti Audiweb 2011): al primo posto troviamo, infatti, Repubblica con 8.607 utenti unici mensili e a seguire Corriere Della Sera con i suoi 7.895 utenti unici mensili.

Confrontando le copie vendute in edicola e i visitatori on line delle maggiori testate italiane, la ricerca evidenzia che i lettori d’informazione online sono di gran lunga superiori ai lettori della stampa.




Nonostante ciò,  Nicola Bruno parla di “ritardo italiano delle testate web-only”, che in Italia sono apparse solo nel 2010 (in Francia nel 2007).
Per comprendere ciò occorre fare un breve excursus storico al fine di tracciare la linea evolutiva dei quotidiani online.

Questa si divide in tre fasi:
-Fase I, anni ’90: il formato web è una replica del prodotto cartaceo.
-Fase II, primi anni 2000: i quotidiani online di derivazione cartacea iniziano a diventare un prodotto a se stante, con aggiornamenti sempre più frequenti ma con bassa interattività (“manda l’articolo via mail ad un amico").
-Fase II, dal 2007: il prodotto online si distanzia dalla carta sia per l’apertura ai social, sia per funzionalità e ricchezza dei formati. Nascono le App che distribuiscono in versione digitale in prodotto cartaceo.

Questo sviluppo ha portato a due differenti risultati:
1-    Il prodotto sul web (aperto, sociale e gratuito) conta circa 11 milioni di lettori al giorno. Questo prodotto è permeabile ai social e finanziato fortemente attraverso la pubblicità (quindi caratterizzato dalla presenza di più immagini/video pubblicitari che testo)
2-    Il prodotto su App (chiuso, a pagamento) conta poco più di 1 milione di lettori al giorno. Questo prodotto è finanziato dal mix abbonamento-pubblicità (molto meno invasiva), è caratterizzato da una più libera linea editoriale da parte dell’editore e dall’assenza di video che riproducono come gattini ecc.

Ci sono però delle eccezioni che troviamo in testate giornalistiche webo-nly come:
- Dagospia.com, sito di gossip (creato nel 2000) che conta 80.000 visitatori unici al giorno ed ha un fatturato annuo di 500.00 euro, grazie in parte ai ricavi pubblicitari con i quali compre gran parte dei costi di gestione.
- Varese News, che nonostante sia una testata iperlocale (creata nel ’96) è il miglior esempio di pure player italiano, innovativo non solo per la sua capacità di coinvolgimento del pubblico ma anche per la struttura proprietaria che la contraddistingue: azioni della società vengono dal mondo dell’associazionismo e dalla Regione.
 - Youreporter.it, il miglior caso di citizen journalism italiano.

In conclusione, la ricerca internazionale è arrivata a due conclusioni:
1-    Nello scenario italiano la realtà giornalistica che meglio funziona è quella delle agenzie di stampa, le quali si rivolgono ai gran+di player del mercato dei media fornendo loro notizie. Quasi mai hanno testate indipendenti e spesso sperimentano progetti innovativi di data-journalism, multimedia storytelling, crowdsourcing reporting, etc. Le agenzie sono strutture agili e leggere, con costi operativi bassi; questo sembra essere il profilo migliore per muoversi in uno scenario dei media sempre più turbolento.
2-    Nello scenario internazionale, la strategia più interessante che emerge dai 69 casi analizzati è quello della diversificazione: mai puntare solo su un’unica fonte di introiti ma sperimentarne sempre di diverse.
  •   Studio dell’Ordine dei Giornalisti, presentato a Digit 2014.
Il campione è stato formato scegliendo alcune testate per tipologie editoriali: quotidiani (Corriere della Sera, Corriere dello Sport, Giornale, Giornale di Sicilia, Mattino, Messaggero, Quotidiano nazionale, Repubblica, Secolo XIX, Sole24 ore, Stampa); testate native (Affari italiani, FanPage, Il Post, Leonardo.it, LiveSicilia, Varese News); settimanali (Espresso, Famiglia Cristiana, Internazionale); agenzie (AdnKronos, AGL, Ansa, F5).

Il risultato di questa ricerca parla di “dominio della carta nelle maggiori redazioni italiane”, infatti i dati (Audipress III, 2015) sono del tutto contrastanti con quelli della precedente ricerca.


Dal grafico risulta evidente che la vendita del giornale cartaceo è nettamente superiore agli utenti unici dei siti web delle stesse testate. Un dato comune con alla precedente ricerca è quello relativo alla testata Repubblica, il cui sito web risulta anche qui il più letto in Italia.

Sul fronte dei ricavi, lo studio portato avanti dall’ Ordine dei Giornalisti evidenzia la stessa problematica della ricerca precedente, ossia che il binomio vendite/ricavi pubblicitari non è più un modello di business sostenibile. Inoltre, in queste testate analizzate nessuno utilizza Paywall, tutti puntano sulla visibilità offerta dai social e sui ricavi pubblicitari.

I ricavi pubblicitari risultano in caso anche leggendo dati forniti da Data Media Hub, che ha monitorato la flessione di questi ultimi nel principali gruppi editoriali dal 2009 al 2013.

Se consideriamo, non i lettori unici al giorno, ma le vendite delle Digital Edition, l’unica  testata che pare aver effettivamente avuto beneficio è Il Sole24 Ore, come mostra il grafico.



La condivisione sui social è fondamentale per tutte le testate che utilizzano un modello di business fondato sulla pubblicità, perché i social network sono il miglior modo di distribuzione dei contenuti informativi digitali. Secondo i dati (Banzai Giugno 2014) la testata italiana che conta maggior numero di condivisioni è Repubblica, la quale conta oltre 92 mila condivisioni al giorno di articoli sui social, a seguire c’è Il Fatto Quotidiano con circa 61 mila condivisioni al giorno.

 Le conclusioni di questa ricerca possono essere paragonati a quella precedente, ergo:
1- Il modello del business della pubblicità è in calo.
2- Il paywall (escluso eccezioni NYTime) non funziona.
3- Non esiste un unico modello di business valido per tutti.

È opportuno concludere riportando l’osservazione di Matteo Bartocci de Il Manifesto, il quale ha dichiarato: «I siti italiani dei quotidiani sono completamente diversi dagli altri siti del mondo. Non esiste che sul Guardian ci sia la foto dell’animaletto triste. È una strategia molto italiana che ha poca fiducia nel pubblico e che puntando tutto sulla quantità di traffico, abbassa la qualità e soprattutto addestra milioni e milioni di persone a pensare che quel contenuto sia gratuito».

Gli interrogativi che sono emersi nel confronto di queste due ricerche sono i seguenti: la stampa cartacea è stata (e per molti versi lo è ancora) uno dei capisaldi delle moderne democrazie. Le nuove testate web-only garantiranno la stessa indipendenza, pluralismo, capacità di confrontarsi con i poteri forti?  E poi, il doversi basare su un sostentamento di tipo pubblicitario potrebbe portare ad un'omologazione del giornalismo al fine di tenere testa alla concorrenza?


FONTI:
-  Chaising Sustainability on the Net
-  www.odg.it
-  www.dig-it.it
-  www.datamediahub.it

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