Distorsioni cognitive:
Un piccolo glossario di quelle più comuni
Il funzionamento della mente umana è un campo ancora in gran parte oggetto di studi e ricerche. Questo genere di conoscenza può tornare utile in tutti i i generi di attività, nella vita privata come in quella lavorativa.
La psicologia sociale ha rilevato quelle che potremmo definire delle "trappole mentali" tra i numerosi fenomeni cognitivi. Queste, nell'odierna società dell'informazione digitale, vengono inoltre amplificate. Tutti i giorni innumerevoli utenti usano il web per i più disparati scopi e spesso l'intero processo di acquisizione d'informazioni avviene utilizzando Internet come canale privilegiato.
Qui sono raccolte alcune informazioni basilari sui fenomeni che più comunemente influiscono durante questo processo. Meglio tener presente, però, che questi non hanno origine nel mondo virtuale e che dunque è buona pratica prestarvi attenzione sempre.
Questo testo nasce dalla convinzione che il primo passo per affrontare un problema sia quello d'esser consci della sua esistenza. I dati qui raccolti non possono sostituire uno studio su testi autorevoli. Dunque, questo elaborato è inteso unicamente come punto di partenza, nella speranza di suscitare abbastanza interesse da spingere il lettore ad un approfondimento.
Metodo usato: nel processo di compilazione del testo è stato preferito ricorrere a fonti facilmente reperibili sul web. Sono presenti quelle da cui sono state tratte le definizioni, così come ulteriori link per muovere i primi passi nella ricerca che, si spera, seguirà. Tutto il materiale in inglese è stato tradotto in maniera letterale ove possibile, oppure rielaborato al fine di facilitare la lettura.
Camera dell’eco
Angela Bahn.
Dalla definizione
estratta dal dizionario Treccani: “echo-chamber” Nella società contemporanea dei
mezzi di comunicazione di massa, caratterizzata da forte interattività,
situazione in cui informazioni, idee o credenze più o meno veritiere vengono
amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all'interno di un
ambito omogeneo e chiuso, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono
per non trovare più considerazione.
Di seguito invece una definizione in lingua inglese: Una camera dell’eco è un ambiente dove una persona s’imbatte unicamente in informazioni oppure opinioni che riflettono e rinforzano le proprie.
Le camere dell’eco
possono creare disinformazione e distorcere la prospettiva di un soggetto, così
che si abbia difficoltà nel considerare punti di vista opposti e a discutere
argomenti complessi. Sono alimentate in parte dal bias di conferma […].
Le camere dell’eco possono avvenire ovunque si scambino informazione,
sia online che nella vita reale. Ma su Internet, quasi tutti possono trovare rapidamente,
tramite i social media, persone e prospettive che la pensino allo stesso modo,
oltre che innumerevoli nuove fonti. Ciò ha reso le camere dell’eco ben
più numerose e in cui è più facile cadere. Le camere dell’eco possono
inoltre essere difficili da riconoscere, soprattutto se già ci si trova in una
di esse.
Se ti
sei mai domandato se un gruppo sociale, oppure sito web, possa essere una camera
dell’eco, fermati a riflettere su alcune domande:
- Si tende a dare una sola prospettiva circa un problema?
- Quel punto di vista è supportato principalmente tramite dicerie o prove incomplete?
- I fatti vengono ignorati ogni volta che vanno contro tale punto di vista?
Se la risposta a una o più di questi quesiti è
affermativa, potresti essere incappato in una camera dell’eco.
Ulteriori informazioni sulle echo chamber sono
reperibili anche in questo
splendido articolo dell’Indipendent.
Si segnala, inoltre, anche queste slide provenienti dall’Università di Roma e che sintetizzano il testo “Le teorie della comunicazione di massa e la sfida digitale” a cura di S. Bentivegna e G. Boccia Artieri, qui il link alla parte prima e alla parte seconda.
Bias di conferma
Peter Wason, 1960.
Una
rapida
ricerca su Wikipedia fornirà la seguente definizione:
È un processo mentale che consiste
nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre
maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità a quelle che
confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o
sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel
contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare
credenze profondamente radicate.
Spiegazioni per questo bias includono il pensiero illusorio e la limitata capacità umana di gestire informazioni. Un'altra spiegazione è che le persone sopravvalutano le conseguenze dello sbagliarsi invece di esaminare i fatti in maniera neutrale, scientifica.
L’enciclopedia
Britannica invece fornisce quanto segue:
Il bias di conferma
è la tendenza a processare le informazioni cercando, o interpretando,
informazioni coerenti con le credenze già esistenti. Questo approccio parziale
al processo decisionale è in gran parte involontario e spesso si traduce
nell'ignorare informazioni incoerenti. Le convinzioni esistenti possono
includere le proprie aspettative circa una data situazione e previsioni su un
particolare risultato. È particolarmente probabile che le persone elaborino le
informazioni per supportare le proprie convinzioni quando la questione è molto
importante o a loro pertinente.
Questo
fenomeno viene ampiamente sfruttato anche nell’ambito del marketing.
Wason ha
anche elaborato un test, noto come “Test delle quattro carte”, per verificare la propria predisposizione
alla ricerca di conferme piuttosto che all’uso del pensiero scientifico: Questo
link, anch’esso una raccolta di slide esposte durante un corso universitario,
oltre ad offrire la possibilità di eseguire il test delle quattro carte offre
un’ampia lista di altri bias cognitivi, che si invita caldamente a visionare.
Groupthink
Irving L. Janis, Victims of Groupthink. A Psychological Study of Foreign-Policy Decisions and Fiascoes, 1972.
Seconda la definizione
offerta da Wikipedia: è
il termine con cui, nella letteratura scientifica, si indica una patologia
del sistema di pensiero esibito dai membri di un gruppo
sociale quando questi cercano di minimizzare i conflitti e raggiungere
il consenso senza un adeguato ricorso alla messa a punto,
analisi e valutazione critica delle idee. Creatività individuale, originalità, autonomia
di pensiero, vengono tutti sacrificati in cambio al perseguimento dei valori
di coesione del gruppo; allo stesso modo, sono smarriti quei vantaggi
derivanti da un ragionevole bilanciamento
di scelte e opinioni diverse o contrapposte, vantaggi che
possono di norma essere ottenuti agendo come gruppo nel prendere decisioni.
Il fenomeno del groupthink attecchisce
in quei contesti sociali in cui i membri di un determinato gruppo
evitano di promuovere punti di vista che vadano al di fuori di quella zona
confortevole delimitata dal pensiero consensuale.
Lo psicologo
sociale Clark McCauley ha proposto la considerazione di tre
condizioni ritenute in grado di causare il groupthink:
- Modello di leadership direttiva.
- Omogeneità dei background sociali e dell'habitus ideologico dei singoli membri
- Isolamento del gruppo da fonti esterne di informazione e di analisi.
Secondo Irving Janis, i gruppi coinvolti in processi decisionali non sono tutti necessariamente destinati a essere affetti dal groupthink. Janis ritenne di aver individuato sei modi per prevenirlo:
1. I leader dovrebbero assegnare a ciascun
membro il ruolo di “valutatore critico”. Questo permette a ognuno di esprimere
liberamente obiezioni e dubbi.
2. I più alti in grado non dovrebbero
esprimere un'opinione quando assegnano un compito a un gruppo.
3. L'organizzazione dovrebbe creare molti
gruppi indipendenti, a lavorare sullo stesso problema.
4. Devono essere prese in considerazione
tutte le effettive alternative
5. Ogni membro dovrebbe discutere delle idee
del gruppo con persone di fiducia al di fuori del gruppo.
6. Il gruppo dovrebbe invitare esperti
esterni a prendere parte agli incontri. Ai membri del gruppo dovrebbe essere
consentito di discutere e porre domande agli esperti esterni.
7. Almeno a un membro del gruppo dovrebbe
essere assegnato il ruolo di avvocato del diavolo. Questa scelta dovrebbe
cadere su una persona diversa in ciascun incontro.
Seguendo queste raccomandazioni, il
groupthink, secondo il modello proposto da Janis, può comunque essere evitato.
La teoria del pensiero di gruppo è stata sviluppata per la prima volta dallo psicologo sociale Irving Janis nel suo classico studio del 1972, Victims of Groupthink: A Psychological Study of Foreign-Policy Decisions and Fiascoes, che si concentrava sul meccanismo psicologico alla base delle decisioni di politica estera come l'attentato a Pearl Harbor. , la guerra del Vietnam e l'invasione della Baia dei Porci.
Il tentativo di Janis di determinare il motivo per cui gruppi composti da individui altamente intelligenti spesso prendevano decisioni sbagliate ha rinnovato l'interesse per lo studio di come i comportamenti di gruppo, i pregiudizi e le pressioni influenzano il processo decisionale di gruppo. Il pensiero di gruppo è diventato una teoria ampiamente accettata, in particolare nei campi della psicologia sociale, analisi della politica estera, teoria organizzativa, scienze del processo decisionale di gruppo e gestione. In quanto tale, il concetto è stato ripreso per aiutare a spiegare l'interpretazione delle informazioni di intelligence riguardanti le armi di distruzione di massa prima della guerra in Iraq (2003-11).
Le proposte per prevenire il pensiero di gruppo hanno incluso l'introduzione di più canali per il dissenso nel processo decisionale e meccanismi per preservare l'apertura e l'eterogeneità di un dato gruppo e si sono concentrate sul tipo specifico di leadership richiesto per prevenire il pensiero di gruppo.
Le critiche hanno sottolineato che i processi decisionali non sempre determinano i risultati finali. Non tutte le decisioni sbagliate sono necessariamente il risultato del pensiero di gruppo, né tutti i casi di pensiero di gruppo si risolvono in un fallimento. In determinati contesti, il pensiero di gruppo può anche aumentare positivamente la fiducia dei membri e accelerare i processi decisionali.
Bias di desiderabilità sociale
Allen L. Edwards, The
relationship between the judged desirability of a trait and the probability
that the trait will be endorsed. 1953.
Secondo la
definizione offerta da Wikipedia: nelle scienze psicosociali, il
fattore desiderabilità sociale viene definito come
quell'effetto di disturbo che entra in gioco in una ricerca/studio quando il
soggetto, che risponde a un'intervista o a un questionario, ha la possibilità
di dare risposte che possono essere considerate socialmente più accettabili
rispetto ad altre: questo fa sì che le persone cerchino di comportarsi in modo
idealistico, ossia tendano a sembrare più "normali" possibile, nel
senso di maggiormente "adeguate alla norma".
Paulhus Delroy creò nel 1998 una
scala psicometrica per la misurazione dell'accuratezza/veridicità o
falsità/distorsione con cui un soggetto risponde tendenzialmente (anche in modo
inconscio) alle domande di un assessment o di un
reattivo psicodiagnostico.
Il test è
designato alla somministrazione congiunta con uno strumento principale (test o
intervista) che ha il compito di misurare il reale oggetto della
ricerca/indagine (variabile dipendente).
La scala,
il cui nome è Paulhus Deception Scales (PDS) ovvero Scala di
Falsità, deriva da un precedente inventario deputato alla misurazione delle
risposte considerate socialmente più accettabili e maggiormente desiderabili:
il Balanced Inventory of Desirable Responding (BIDR).
Il PDS,
costituito da un questionario self-report di 40
item, validato e standardizzato, valuta due ambiti: l'area
definita come "self-deception" ossia la dimensione del
processo inconscio che induce a fornire risposte distorte e l'area denominata
"other-deception" in cui le risposte sono consapevolmente ed
intenzionalmente falsificate per offrire una migliore immagine di sé.
Uno studio
condotto in Italia, per valutare le proprietà psicometriche di una
versione del PDS (tradotto in italiano e ridotto a 28 item) ha rilevato una
buona coerenza interna della scala.
Dissonanza cognitiva
Leon Festinger, Theory of cognitive dissonance,1957.
Wikipedia offre la seguente definizione: la situazione di complessa elaborazione cognitiva in cui credenze, nozioni, opinioni esplicitate contemporaneamente nel soggetto in relazione ad un tema si trovano in contrasto funzionale tra loro; esempi ne sono la "dissonanza per incoerenza logica", la dissonanza con le tendenze del comportamento passato, la dissonanza relativa all'ambiente con cui l'individuo si trova a interagire (dissonanza per costumi culturali).
Un individuo che attivi idee, o comportamenti, tra
loro coerenti, si trova in una situazione emotiva soddisfacente (consonanza
cognitiva); al contrario, si verrà a trovare in difficoltà discriminatoria ed
elaborativa se le due rappresentazioni sono tra loro contrapposte o divergenti.
Questa incoerenza è quella che produce, appunto, una dissonanza
cognitiva, che l'individuo cerca automaticamente di eliminare o ridurre a
causa del marcato disagio psicologico che essa comporta (ad esempio riduzione
dell'autostima); questo può portare all'attivazione di vari processi
elaborativi, che permettono di compensare la dissonanza (e ripristinare
l'autostima).
Un esempio di dissonanza cognitiva è
rappresentato nel celebre racconto La volpe e l'uva, tratto
dalle Favole di Esopo, in cui la dissonanza fra il
desiderio dell'uva e l'incapacità di arrivarvi conduce la volpe a elaborare la
conclusione che "l'uva è acerba".
Inoltre,
l’enciclopedia Treccani ci informa che: Festinger predispone delle
ingegnose quanto rigorosamente controllate situazioni in maniera da condurre
delle verifiche sperimentali della teoria. Tra le più interessanti ricordiamo
le situazioni di decisione e di scelta e le situazioni di accordo forzato,
quando cioè una persona è indotta a comportarsi in maniera contraria ai propri
atteggiamenti e convincimenti.
Ulteriori approfondimenti possono essere
svolti a partire sia da queste
slide provenienti dall’Università del Salento sia in queste
provenienti dal dipartimento di scienze politiche dell’Università della
Calabria.
Effetto Dunning-Kruger
David Dunning e Justin Kruger, Unskilled and Unaware of It: How Difficulties in Recognizing One’s Own Incompetence Lead to Inflated Self-Assessment, 1999.
Si tratta di un fenomeno tanto noto da essere ormai entrato anche nella cultura pop, dunque non è affatto difficile reperire materiale a riguardo sul web.
Ad esempio, si segnalano questo ottimo articolo del The Vision, così come questo proveniente dal Corriere della Sera.