venerdì 20 giugno 2014

Il fai-da-te nell'era digitale

Chi non si è mai armato di cacciavite, chiave inglese e soprattutto tanta pazienza per cercare di aggiustare qualcosa di rotto, per capire come funzionano le cose che ci circondano o anche per realizzare qualcosa in proprio?
Il fai-da-te ha sempre costituito la soluzione alternativa, spesso più economica ma non per questo meno valida, a quelle offerte dal mercato. Nell'era digitale, l'incontro tra la cultura del do-it-yourself (DIY) e quella collaborativa e partecipativa del web, ha dato vita secondo Chris Anderson ad una vera e propria rivoluzione industriale nella produzione dei beni materiali. Alla base di tale prospettiva  rivoluzionaria vi sono alcuni strumenti tecnologici - stampanti 3D e scanner 3D - ed alcuni trend nati in rete - la cultura open source e il crowdfunding - che permettono a chiunque di produrre e distribuire un oggetto fisico a costi ridotti.

Nel suo libro "Makers. Il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale.", Anderson evidenzia come il web abbia democratizzato gli strumenti di produzione rispetto all'economia capitalistica classica, sovvertendo il paradigma marxista basato sul possesso del capitalista dei mezzi di produzione, in quanto oggi tutti possono trasformare un'idea in prodotto fisico ed in questo modo essere proprietari di una "fabbrica personale". Il soggetto protagonista di questa rivoluzione è il Movimento dei Makers, nato di fatto nel 2005 con il lancio della rivista Make pubblicata da Tim O'Reilly. Questa community di appassionati del fai-da-te, secondo Anderson è caratterizzata da:



1. L’utilizzo di strumenti digitali per creare in proprio progetti per nuovi prodotti e prototipi;
2. La condivisione dei progetti e la collaborazione online con altri makers, che favorisce l’innovazione;
3. L’utilizzo di file di progetto standard che possono essere inviati ai centri di produzione commerciale per poter realizzare il progetto in qualsiasi quantità, locale o globale, con il risultato di ridurre il percorso dall’idea all’imprenditorialità.

I Makers, in quanto produttori ed artigiani digitali, attraverso gli strumenti di design e di fabbricazione digitale, hanno industrializzato e digitalizzato la cultura del fai-da-te, rinverdendo una passione - quella per la costruzione manuale di oggetti - che la diffusione del Pc negli anni '80 e '90 aveva spento, soprattutto nella popolazione più giovane, cresciuta all'insegna dei videogames piuttosto che con le chiavi inglesi.

Il web ha esteso il numero dei produttori, democratizzando e ampliando il settore della manifattura, proprio perchè non sono più necessari l'esperienza, le attrezzature e gli ingenti capitali nella produzione di beni su larga scala, elementi che rendevano tale economia appannaggio delle grandi aziende e di professionisti. Attività e progetti che in passato richiedevano finanziamenti, brevetti, procedimenti burocratici macchinosi e imprenditori che possedevano il capitale per la realizzazione effettiva, oggi si implementano tramite un click e spese ridotte, trasformando un hobby in un vero e proprio business. A ciò si aggiunge il potenziale innovativo della cooperazione e della collaborazione tra i membri della community dei Makers, che grazie alle licenze open source modificano continuamente un progetto, apportandovi migliorie che ne incrementano gli standard qualitativi.

E' interessante osservare come coloro che fanno parte del Movimento dei Makers siano in realtà consumatori, volti alla ricerca di un qualcosa che non è disponibile sul mercato di massa. Per questo, invece di accontentarsi di ciò che il mercato offre, decidono di realizzarlo da sè, non più - o non solo - manualmente, ma attraverso gli strumenti di produzione digitale. In merito, Anderson riprende la sua teoria della coda lunga per sottolineare come i Maker, con la propria passione nella produzione di singoli articoli pensati per i singoli consumatori, cercano di servire un mercato di nicchia attraverso prodotti che sono ispirati dai bisogni individuali anzichè da quelli delle imprese, beni che in passato era difficile trovare sul mercato perché non conveniva produrli in grandi quantità e che richiedevano costi di produzione elevati, a causa del lavoro artigianale necessario. A ben vedere, la produzione digitale si addice alla realizzazione di tali prodotti di nicchia, oggi realizzati in maniera automatizzata, ad un costo minore e con standard qualitativi elevati. Tuttavia, per la produzione di beni in grande quantità, continua a prevalere il sistema di produzione analogico tradizionale rispetto a quello digitale. Ciò deriva sia dal tempo che occorrerebbe per realizzare digitalmente una grande quantità di oggetti, molto maggiore rispetto alla produzione in serie tramite macchinari, sia dal fatto che nella fabbricazione digitale la prima unità prodotta e le successive avranno sempre lo stesso costo di produzione, rispetto alla produzione in serie che consente di ammortizzare i costi di produzione nella realizzazione delle unità successive.

E' evidente come gli strumenti di progettazione e fabbricazione digitale non siano ancora accessibili a tutti, sia economicamente che tecnologicamente. Ma ciò che oggi appare come una tecnica misteriosa, secondo Anderson un domani sarà semplice e familiare. E' un po' la storia dei computer, che fino alle fine degli anni '70 erano grossi calcolatori che occupavano intere stanze, ed erano appannaggio esclusivo di governi, grandi aziende ed università, ma che poi sono entrati nelle case di ognuno di noi a prezzi ridotti. Le stesse istituzioni, in molti contesti, stanno incentivando la realizzazione di veri e propri makerspace e FabLab, centri di produzione condivisi in cui è possibile cimentarsi con tali strumenti, apprendere dagli altri e realizzare un prodotto che nasce digitale ma che diventa utilizzabile nella vita quotidiana.

In conclusione, il fai-da-te digitale, sotto la spinta del Movimento dei Makers, sta contribuendo alla trasformazione radicale di un settore, quello della manifattura, democratizzando i processi produttivi, dimostrando come piccole idee, attraverso la condivisione, acquisiscono forza sul web, diventando grandi idee innovative, che probabilmente non segneranno la fine dei giganti di mercato, ma sicuramente contribuiranno a rendere il mondo un posto migliore, meno spinto da interessi commerciali, e più da interessi sociali.

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