Chi non si è mai armato di cacciavite, chiave inglese e soprattutto tanta pazienza per cercare di aggiustare qualcosa di
rotto, per capire come funzionano le cose che ci circondano o
anche per realizzare qualcosa in proprio?
Il fai-da-te ha sempre
costituito la soluzione alternativa, spesso più economica ma non per
questo meno valida, a quelle offerte dal mercato. Nell'era digitale,
l'incontro tra la cultura del do-it-yourself (DIY) e quella
collaborativa e partecipativa del web, ha dato vita secondo Chris Anderson
ad una vera e propria rivoluzione industriale nella produzione dei beni
materiali. Alla base di tale prospettiva rivoluzionaria vi sono alcuni
strumenti tecnologici - stampanti 3D e scanner 3D - ed alcuni trend nati in rete - la cultura open source e il crowdfunding - che permettono a chiunque di produrre e distribuire un oggetto fisico a costi ridotti.
Nel suo libro "Makers. Il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale.",
Anderson evidenzia come il web abbia democratizzato gli strumenti di
produzione rispetto all'economia capitalistica classica, sovvertendo il
paradigma marxista basato sul possesso del capitalista dei mezzi di
produzione, in quanto oggi tutti possono trasformare un'idea in prodotto
fisico ed in questo modo essere proprietari di una "fabbrica
personale". Il soggetto protagonista di questa rivoluzione è il Movimento dei Makers, nato di fatto nel 2005 con il lancio della rivista Make pubblicata da Tim O'Reilly. Questa community di appassionati del fai-da-te, secondo Anderson è caratterizzata da:
1. L’utilizzo di strumenti digitali per creare in proprio progetti per nuovi prodotti e prototipi;
2. La condivisione dei progetti e la collaborazione online con altri makers, che favorisce l’innovazione;
3.
L’utilizzo di file di progetto standard che possono essere inviati ai
centri di produzione commerciale per poter realizzare il progetto in
qualsiasi quantità, locale o globale, con il risultato di ridurre il
percorso dall’idea all’imprenditorialità.
I Makers, in quanto
produttori ed artigiani digitali, attraverso gli strumenti di design e
di fabbricazione digitale, hanno industrializzato e digitalizzato la
cultura del fai-da-te, rinverdendo una passione - quella per la
costruzione manuale di oggetti - che la diffusione del Pc negli anni '80
e '90 aveva spento, soprattutto nella popolazione più giovane,
cresciuta all'insegna dei videogames piuttosto che con le chiavi
inglesi.
Il web ha esteso il numero dei produttori,
democratizzando e ampliando il settore della manifattura, proprio perchè
non sono più necessari l'esperienza, le attrezzature e gli ingenti
capitali nella produzione di beni su larga scala, elementi che rendevano
tale economia appannaggio delle grandi aziende e di professionisti.
Attività e progetti che in passato richiedevano finanziamenti, brevetti,
procedimenti burocratici macchinosi e imprenditori che possedevano il
capitale per la realizzazione effettiva, oggi si implementano tramite un
click e spese ridotte, trasformando un hobby in un vero e proprio
business. A ciò si aggiunge il potenziale innovativo della cooperazione e
della collaborazione tra i membri della community dei Makers, che
grazie alle licenze open source modificano continuamente un progetto,
apportandovi migliorie che ne incrementano gli standard qualitativi.
E'
interessante osservare come coloro che fanno parte del Movimento dei
Makers siano in realtà consumatori, volti alla ricerca di un qualcosa
che non è disponibile sul mercato di massa. Per questo, invece di
accontentarsi di ciò che il mercato offre, decidono di realizzarlo da
sè, non più - o non solo - manualmente, ma attraverso gli strumenti di
produzione digitale. In merito, Anderson riprende la sua teoria della coda lunga per
sottolineare come i Maker, con la propria passione nella produzione di
singoli articoli pensati per i singoli consumatori, cercano di servire
un mercato di nicchia attraverso prodotti che sono ispirati dai bisogni
individuali anzichè da quelli delle imprese, beni che in passato era
difficile trovare sul mercato perché non conveniva produrli in grandi
quantità e che richiedevano costi di produzione elevati, a causa del
lavoro artigianale necessario. A ben vedere, la produzione digitale si
addice alla realizzazione di tali prodotti di nicchia, oggi realizzati
in maniera automatizzata, ad un costo minore e con standard qualitativi
elevati. Tuttavia, per la produzione di beni in grande quantità, continua a prevalere il sistema di produzione analogico tradizionale
rispetto a quello digitale. Ciò deriva sia dal tempo che occorrerebbe
per realizzare digitalmente una grande quantità di oggetti, molto
maggiore rispetto alla produzione in serie tramite macchinari, sia dal
fatto che nella fabbricazione digitale la prima unità prodotta e le
successive avranno sempre lo stesso costo di produzione, rispetto alla
produzione in serie che consente di ammortizzare i costi di produzione
nella realizzazione delle unità successive.
E' evidente come gli
strumenti di progettazione e fabbricazione digitale non siano ancora accessibili a
tutti, sia economicamente che tecnologicamente. Ma ciò che oggi appare
come una tecnica misteriosa, secondo Anderson un domani sarà semplice e
familiare. E' un po' la storia dei computer, che fino alle fine degli
anni '70 erano grossi calcolatori che occupavano intere stanze, ed erano
appannaggio esclusivo di governi, grandi aziende ed università, ma che
poi sono entrati nelle case di ognuno di noi a prezzi ridotti. Le stesse
istituzioni, in molti contesti, stanno incentivando la realizzazione di
veri e propri makerspace e FabLab,
centri di produzione condivisi in cui è possibile cimentarsi con tali
strumenti, apprendere dagli altri e realizzare un prodotto che nasce
digitale ma che diventa utilizzabile nella vita quotidiana.
In
conclusione, il fai-da-te digitale, sotto la spinta del Movimento dei
Makers, sta contribuendo alla trasformazione radicale di un settore, quello
della manifattura, democratizzando i processi produttivi, dimostrando
come piccole idee, attraverso la condivisione, acquisiscono forza sul web, diventando grandi idee
innovative, che probabilmente non segneranno la fine dei giganti di
mercato, ma sicuramente contribuiranno a rendere il mondo un posto
migliore, meno spinto da interessi commerciali, e più da interessi
sociali.
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