La Rete controllata
- Negli ultimi anni la questione della privacy online è stata al centro di numerosi dibattiti. Sempre più spesso ci viene da domandare chi gestisce i nostri dati, come lo fa, come ci si può difendere. Tutte domande che hanno avuto poche risposte ed anche abbastanza insufficienti. Nel 2010 il governo degli Stati Uniti, attraverso la FTC e il Dipartimento del Commercio, ha pubblicato due rapporti che raffigurano la Rete come un luogo dove tutto è registrato da grandi contenitori di dati appartenenti ad enti privati e governativi. Secondo Helene Nissenbaum, gli approcci adottati fino a questo momento hanno ottenuto risultati assai limitati. Nel suo saggio “A Contextual approach to privacy online”, la Nissenbaum propone un nuovo approccio, quello della privacy online come integrità contestuale. Ripercorrendo un po’ la storia dei media, l’autrice sostiene che questa sfida è simile a quella sollevata in passato per altri media digitali a causa delle loro grandi capacità di acquisizione, stoccaggio, analisi e diffusione di informazioni. Online ci sono principi nuovi e diversi che regolano i flussi d’informazione, l’informazione che diamo per ricevere beni e servizi può essere venduta a terze parti, persone di tutto il mondo possono vedere ciò che pubblichiamo. I vincoli dei flussi di informazione, più che a logiche politiche, sociali, etiche sembrano risponde solo alla logica della possibilità tecnica.
Un approccio insufficiente - Uno dei modelli dominanti fino ad oggi è stato quello della notifica-consenso. I siti web avvisano gli utenti della policy adottata lasciandoli liberi se accettare o meno. Spesso però le persone non leggono le policy o non ci capiscono molto quando lo fanno oltre al fatto che c’è il diritto del soggetto di cambiare la propria policy come vuole e quando vuole, dando dovuto preavviso nella policy stessa, rendendo ancor più difficile la situazione. In un contesto con enormi quantità di dati è impossibile riuscire a seguire il tutto. Su Internet è più difficile stabilire l’appropriatezza del flusso di informazioni anche perché spesso non è compresa totalmente l’azione di acconsentire a fornire i propri dati. Migliorare la cosa però, secondo la Nissenbaum, è abbastanza inutile. Ci troveremmo di fronte a ciò che lei chiama “paradosso della trasparenza”. Da una parte c’è l’esigenza di dettagliare ogni flusso, condizione, restrizione. Questo però aumenta le probabilità che la policy non solo non venga compresa ma nemmeno letta. D’altra parte, però, ridurre tutto a simil etichette nutrizionali non è auspicabile perché rischia di eliminare importanti dettagli.
Un nuovo approccio contestuale - Di fronte a tutto ciò Helene Nissenbaum, sostiene la teoria “dell’integrità contestuale”. Le attività online sono pienamente integrate nella vita sociale ma non solo. La vita online è radicalmente eterogenea, comprende numerosi contesti sociali e soprattutto non solo quello commerciale nel quale la tutela della privacy punta a difendere i consumatori e le informazioni commerciali. Bisogna, quindi, individuare i contesti dove operano gli attori, capire le norme informative alla base, identificare i flussi e valutarli sulla base di norme basate su principi etici e politici nonché sui valori del contesto specifico. Parlare esclusivamente di privacy online è sbagliato. Se c’è un problema che riguarda i dati finanziari, la loro tutela deve rientrare nei regolamenti della Federal Reserve. La stessa cosa può valere per le discriminazioni sul web. Sia che si sta negoziando con la banca online, al telefono o di persona le norme che disciplinano il flusso di informazioni non cambia. Le informazioni di una transazione online, ad esempio, non possono essere considerate libere solo perché, magari, nella legge non c’è un caso simile. Dovrebbe, invece, sottostare semplicemente alle norme finanziarie. Le norme informative specifiche del contesto possono essere, quindi, estese alle attività online alle quali corrispondono. Pertanto, seguendo un esempio nel saggio, un sito che permette operazioni finanziarie online dovrà sottostare alle norme sulla privacy in materia di istituzioni finanziarie.
Due modi diversi di legiferare – E i governi, invece, cosa fanno? Helene Nissenbaum, in un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” risponde così: « L’Europa vede la tecnologia sotto la lente dei diritti: quello all’informazione e quello alla privacy. Gli Stati Uniti come un mezzo per aumentare la libertà di espressione e le potenzialità di impresa. Entrambi vogliono sancire la parità tra chi vuole difendere l’intimità e chi vuole violarla. Ma non si può dare per scontato che da una parte ci siano i buoni, i cittadini, e dall’altra i cattivi, le imprese. La disponibilità di informazioni può aiutarci a vivere meglio, vietare un tracciamento tout court sarebbe sbagliato. Piuttosto tocca chiedersi: qual è la quantità appropriata di informazioni? E quali sono quelle da proteggere? Non possono essere le aziende a deciderlo ma, in base ai diversi contesti, potremo decidere di volta in volta. Un approccio impostato sull’illusione della trasparenza, come quello europeo, è sbagliato. Anche perché identifica l’utente con il consumatore e negli Usa nessuno farà passare leggi anti- business. Qualsiasi norma europea si scontrerà con quelle internazionali e si ricomincerà daccapo ».
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