Secondo Carr, il Web è senza dubbio una benedizione, poiché permette di avere accesso in pochi istanti ad una gigantesca mole di informazioni . Questa invenzione sta però avendo profondissimi effetti sul nostro modo di pensare, ridisegnando i nostri circuiti neurali. Egli afferma, con un'arguta metafora, di essersi trasformato da un <sommozzatore che si immerge in un mare di parole>> ad un << tizio su uno jet ski che sfreccia sulla superficie>>. È dunque questo il punto. Tutto ha a che fare con la questione della "profondità" del pensiero.
La nostra mente è diventata capace di muoversi con velocità nel flusso di informazioni che circola sul Web, saltando con abilità da un sito all'altro e scansionando con sorprendente rapidità un gran numero di fonti. Essa, guidata dal principio della massima efficienza, è in grado di ritrovare esattamente quello che cerca, muovendosi nello sconfinato archivio di dati on line.
Sulla stessa lunghezza d'onda è la psicologa Maryanne Wolf la quale, nel libro Proust and the Squid: The Story and Science of the Reading Brain, si occupa di investigare il rapporto che intercorre tra lo sviluppo delle diverse forme di lettura e i cambiamenti dei nostri circuiti neurali. La studiosa associa alla lettura praticata sul Web due caratteristiche: efficienza ed immediatezza. Secondo l'autrice, il lettore on-line è in grado di scorrere velocemente le informazioni, ma diventa un mero decodificatore, non più in grado di creare connessioni mentali ed interpretare i testi.
Appoggiando le speculazioni teoriche di Wolf, Carr fa alcune interessanti considerazioni su Google, che egli vede come un' applicazione del principio tayloristico della fabbrica alle informazioni. Il progetto di Sergey Brin e Larry Page, creatori di Google, è quello di dare vita ad un' intelligenza artificiale su larga scala, un motore di ricerca che sia intelligente come un essere umano se non addirittura di più. Per Carr, l'intelligenza in questo modo si riduce ad un mero meccanismo, un processo, in cui i singoli passi possono essere isolati ed ottimizzati. Ma la conoscenza non è solo consumo di informazioni. La parte più importante di quest'ultima si sviluppa soltanto con l'immersione profonda nella lettura, tra le pagine dei libri. È nell'invisibile spazio della mente che il lettore può elaborare le informazioni, creare le proprie associazioni e dare vita a nuove idee.
Nel libro The Shallows: What Internet is doing to our brain, pubblicato nel 2011, Carr riprende e amplia alcune idee esposte nell'articolo dimostrando, attraverso un excursus storico ed un rilevante numero di ricerche scientifiche, come la struttura del cervello umano si sia profondamente modificata col cambiamento del nostro modo di interagire con il mondo. Internet, sostiene Carr, ha effetti devastanti sul processo di consolidamento della memoria, ovvero il passaggio delle informazioni dalla memoria a lungo termine a quella a breve termine che avviene all'interno delle nostre teste e che è l'unica maniera di apprendere qualsiasi tipo di nozione. Internet, bombardandoci di informazioni e di stimoli, riduce la nostra capacità di mantenere alta l'attenzione e di conseguenza blocca questo processo, facendo sì che la conoscenza avvenga solo ad un livello superficiale. Le informazioni vengono dimenticate in un lasso di tempo breve e non vengono assimilate.
Ancora una volta dunque tutto si riduce ad un problema di "profondità", ad un atto di contemplazione del lettore. C'è da chiedersi però se la profondità del pensiero, che sta andando a sfumare, non possa essere in qualche modo rimpiazzata dall'elemento della "connessione" che è un asset fondamentale del Web. È forse ipotizzabile che i processi di elaborazione della conoscenza non si siano esauriti, ma che si siano solo spostati dallo spazio individuale della mente del singolo lettore alla collettività degli utenti della Rete? On line vi sono molti esempi di come, attraverso la collaborazione tra utenti, si possano portare avanti progetti estremamente complessi, che vanno al di là del semplice consumo di informazioni e che sono effetto del fenomeno di esternalizzazione dei processi cognitivi rilevato da Derrick de Kerckhove. Già nel 2001, nel suo intervento al Convegno internazionale Professione giornalista. nuovi media, nuova informazione, lo studioso canadese aveva sostenuto l'idea della nascita in Rete di un pensiero collettivo che << si autorganizza sui contributi di ogni singolo utente>> e da cui << emerge un valore che è superiore alla somma delle parti>>. Si pensi ad esempio a Wikipedia, la famosa enciclopedia redatta grazie all'impegno di milioni di utenti che collaborano tra di loro, oppure agli open software, come Linux , il cui codice sorgente è a disposizione di tutti e liberamente modificabile oppure, ancora, ai recenti MOOC's (Massive Open Online Courses), delle vere e proprie classi virtuali dove gli studenti apprendono insieme, collaborando. Gli esempi da fare sarebbero ancora molti, e forse dimostrano che il Web non ha ridotto le nostre capacità riflessive, rendendoci soltanto degli abili cercatori di informazioni che hanno imparato a gestire l'enorme mole di dati accessibile in Rete, ma ha in un certo senso potenziato le nostre capacità nell'ottica della connessione dei circuiti neurali. È ancora De Kerckhove ad affermare che << Raggruppando i nostri neuroni "stupidi" in una mente cosciente, il nostro cervello sfrutta il loro potere, allo stesso modo internet si appoggia su stupide macchine, stupidi personal computer; un pc è come un singolo neurone; quando sono collegati a migliaia tra di loro in una rete, questi semplici stupidi nodi generano un valore aggiunto [...]>>. È dunque, nel crowd- sourcing (da crowd, "folla", e outsourcing, "esternalizzazione di una parte delle proprie attività) , cioè nella capacità della "folla" di cooperare per raggiungere un determinato scopo, che si dispiegano le potenzialità del Web.
Il dibattito tra le due visioni è ancora aperto ed è importante ricordare che all'interno del discorso sui costi e benefici del Web si inserisce una variabile fondamentale: l'utilizzo. Se è indiscutibilmente vero che il nostro modo di pensare sta cambiando, è anche vero, infatti, che gli effetti di questo processo non sono universalmente determinabili, ma variano a seconda del modo di intendere e utilizzare la Rete.
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