giovedì 1 giugno 2017

Perché gli adolescenti sembrano strani in rete?

di Annabella Candia

Danah Boyd nel suo libro "It's complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web" racconta come oggi, gli adolescenti, siano fortemente attratti dai social media. Facebook, Twitter, Instagram, la messaggistica istantanea e
altri rappresentavano per gli adolescenti di allora. Li usano più o meno per gli stessi motivi per cui le generazioni precedenti andavano ai balli scolastici, si riunivano nei parcheggi, colonizzavano i cortili delle case o tenevano occupato il telefono per ore. Molti degli adulti credono che la propria infanzia sia stata più ricca, più bella, più semplice e più sicura dell’esperienza dei giovani contemporanei mediata dalla tecnologia; associando l’ascesa della tecnologia digitale al declino sociale, intellettuale e morale.
Meyrowitz afferma che i media elettronici facciano collassare facilmente dei contesti apparentemente disconnessi. " Un esempio è Carmichael, attivista americano per i diritti umani, che nei suoi comizi usava stili linguistici diversi in base al tipo di pubblico. Ma quando ha cominciato attraverso radio e tv è stato costretto a scegliere il linguaggio e a selezionare il pubblico. Un collasso del contesto avviene quando si è costretti ad affrontare nello stesso momento contesti sociali altrimenti senza relazione fra loro e con norme diverse, e che apparentemente richiedono risposte sociali diverse." Gli adolescenti, quando interagiscono con i social media, devono sempre confrontarsi con contesti collassati e pubblici invisibili. Se decontestualizzato, quello che gli adolescenti fanno e dicono sui social media sembra strano, se non problematico. È importante pensare al pubblico a cui l’adolescente si rivolge, al di là di chi effettivamente legge. Purtroppo capita che gli adulti credano di capire ciò che vedono sul web, senza considerare come gli adolescenti immaginassero il contesto postando una particolare foto o un commento. La capacità di capire come contesto, pubblico e identità siano legati fra loro è una delle sfide essenziali per comprendere come muoversi nei social media. E nonostante tutti gli errori che possono fare e fanno, gli adolescenti sono spesso gli apripista nell’immaginare come navigare in un mondo connesso in cui contesti collassati e pubblici immaginati sono la norma.


Gli adolescenti fanno ciò che altri hanno già fatto prima: come i giornalisti e i politici, gli adolescenti immaginano il pubblico che cercano di raggiungere. Parlando a un pubblico invisibile o sconosciuto, è impossibile e improduttivo tener conto di tutte le possibili interpretazioni. Gli adolescenti immaginano spesso che il loro pubblico sia composto dai contatti che hanno scelto di «seguire» o di cui sono «amici», senza pensare a chi effettivamente potrebbe vedere il profilo. In teoria, le impostazioni della privacy permettono di definire chi può vedere cosa. Su MySpace e Twitter, in cui le impostazioni per la privacy sono relativamente semplici, impostare un limite di accesso ai contenuti è fattibile. Su Facebook invece la privacy si è dimostrata difficile da gestire e confusionaria, a causa di impostazioni complesse e in continuo cambiamento.
Quando gli adolescenti vivono il collasso del contesto in ambienti fisici, la loro reazione naturale è il silenzio. Si potrebbero sentire a proprio agio quando un estraneo ascolta per caso le loro conversazioni, ma se compare all’improvviso una figura con un’autorità sociale il contesto cambia completamente.
Sul web questo diventa più difficile. Come spiega Summer, una quindicenne del Michigan, cambiare contesti in rete è più difficile che in un parco: nel parco «lo vedi quando hai gente intorno e così puoi cambiare argomento in fretta». In rete non c’è modo di cambiare conversazione, perché è virtualmente impossibile sapere se qualcuno si sta avvicinando.

 Le dinamiche di raffigurazione della propria identità online sono piuttosto diverse. La maggior parte dei giovani usa vari servizi di social media, vivendo relazioni e contesti diversi.
Le loro abitudini apparentemente diverse sulle varie piattaforme potrebbero indicare un tentativo di essere persone diverse, ma questa sarebbe una lettura ingenua dei tipi di definizione dell’identità che si sviluppano sui social media e attraverso di essi. Ad esempio un adolescente potrebbe usare il proprio nome su un servizio di videochiamate come Skype, scegliendo invece un nome di fantasia per un’applicazione come Instagram.

Quindi, quando una ragazza sceglie di identificarsi come «Jessica Smith» su Facebook e come «littlemonster» (‘mostriciattola’) su Twitter, non si sta creando più identità in senso psicologico: sta scegliendo di rappresentarsi in modi diversi su siti diversi, seguendo le aspettative di pubblici diversi e norme diverse. A volte queste scelte sono tentativi coscienti degli individui di controllare la rappresentazione di sé, ma più spesso sono risposte stravaganti al requisito di fornire un nome utente.

Il contesto è importante. Muovendosi fra contesti sociali diversi, sia mediati, come quelli prodotti dai public in rete, sia reali e non mediati, come la scuola, gli adolescenti gestiscono in modo diverso le dinamiche sociali. Ciò che conta non è il singolo sito di social media, ma il contesto in cui si situa per un particolare gruppo di giovani. Il contesto di un particolare sito non è determinato dalle sue caratteristiche tecniche, ma piuttosto dall’influenza reciproca fra adolescenti e sito. Gli adolescenti si rivolgono a un particolare sito perché secondo loro funziona bene per un certo scopo.

Il sociologo canadese Erwin Goffman descrive i rituali sociali coinvolti nella rappresentazione di sé come “gestione dell’impressione”. Sostiene che le impressioni che facciamo sugli altri siano il prodotto di ciò che diamo e di ciò che emaniamo. Ciò che comunichiamo o trasmettiamo agli altri dipende da ciò che scegliamo di condividere per fare una bella impressione. Prendiamo decisioni su cosa condividere per agire in modo adeguato alla situazione ed essere percepiti nel modo migliore. Quando i giovani cercano di capire il contesto in cui si trovano, lo fanno per gestire la situazione sociale con cui devono confrontarsi. Ma quando i contesti collassano o quando le informazioni vengono decontestualizzate, i giovani possono non riuscire ad ottenere l’impressione che volevano.



Fonte:

-       Boyd D. (2014) It's complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web. Castelvecchi Editore

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