mercoledì 27 maggio 2015

Tempo di parlare. L'intimità attraverso la tecnologia - Pressed for Time cap. 6

di D.T. Marra
Articolo basato sul capitolo sesto (Time to talk. Intimacy through technology) di Pressed for time: the acceleration of life in digital capitalism di Judy Wajcman.


Una delle grandi problematiche e preoccupazioni che ha caratterizzato e caratterizza ancora i dibattiti legati alle nuove tecnologie riguarda l’estensione del tempo di lavoro a causa della connettività ubiqua. La paura è che, essendo possibile restare connessi in qualunque luogo, il tempo privato possa essere invaso dallo spazio lavorativo.
In questo capitolo, Judy Wajcman analizza come e in che modo le information and communication technologies coinvolgano i nostri affetti e relazioni, prestando particolare attenzione alla distinzione tra spazi lavorativi e privati. Contrariamente al mito di tendenza per il quale la connettività è associabile alla fine del privato, la Wajcman sostiene che le ICT non estendono e colonizzano tutto il tempo fuori dallo spazio di lavoro. Nella sua visione le ICT possono aiutare a controllare il tempo, preservarlo ed usarlo. Inoltre, se prima lo spazio non permetteva intimità durante i periodi di lontananza, per la Wajcman adesso le ICT ci aiutano a combinare l’intimità con la distanza spaziale in modi prima inimmaginabili.

Pur prendendo in considerazione altri studiosi, l’autrice fa notare che esiste sostanzialmente un problema di fondo: gli studi si focalizzano sull’impatto delle nuove tecnologie analizzandone i confini – laddove le differenze sono più evidenti e quasi in netta opposizione con i contesti precedenti. Invece la sfida è comprendere i modi pratici in cui i devices facilitano la creazione di nuove usanze, creando un how to diverso dal precedente, dove gli individui non riconoscono una separazione tra il prima e il dopo di una determinata tecnologia, ma intrecciano nuove e vecchie permettendo la nascita di nuovi modi di fare e agire.

Per dimostrare come l’intimità sia facilitata e non messa in discussione dalle nuove tecnologie, la Wajcman propone un suo studio del 2007 sull'uso dei cellulari. I risultati di questo studio affermano che la maggior parte delle chiamate e sms effettuati sono verso parenti e amici, mentre le chiamate lavorative sono meno del 3% e confinate alle ore di lavoro. Da questi dati si giunge alla conclusione che qualcos’altro estende le ore di lavoro e che i cellulari, facendo entrare famiglia e vita quotidiana nel lavoro, riducono lo stress. La loro funzione è coordinare famiglia e vita privata e piuttosto che peggiorare la situazione lavorativa, la migliorano.
Da un punto di vista maschile, contrapposto a quello femminile, secondo la Chesley le ICT rinforzano e riarticolano gli script di gender, risultando comunque più influenti sulle donne, sulle quali ricadono anche le responsabilità familiari oltre che lavorative. La Wajcman, pur accettando le differenze di genere che vedono le donne particolarmente attive rispetto agli uomini, sostiene che tale fenomeno non è però indicativo del trend della società.

Il passaggio successivo è quindi quello di esaminare come le ICT si introducano nel tempo privato e familiare, cercando di capire se trasformano anche la qualità delle relazioni personali.
Partendo dalla visione della Turkle, che vede la tecnologia come un elemento che isola l’individuo nella cyber-realtà impedendogli di socializzare, la Wajcman fa notare che, come mostrano alcune ricerche, gli utenti hanno invece più contatti sociali, non meno. L’intimità è ciò che caratterizza queste comunicazioni e al contrario di ogni aspettativa, le ICT sono un canale che permette di avere intimità. Le conclusioni cui giunge Judy Wajcman sono completamente divergenti da quelle di Sherry Turkle in Alone Togheter: intimità e telefono non si oppongono, ma sono un altro nodo nei flussi che creano l’intimità. Ancora una volta, non serve indagare sui confini, ma domandarsi se il fatto che le relazioni mediate digitalmente stiano crescendo significhi che le persone danno meno valore a dove si trovino.

Come già detto, la Wajcman presta particolare attenzione al telefonino, analizzando come il suo uso possa essere visto in maniera diversa dai membri di una famiglia: se i genitori lo considerano un mezzo utile per organizzare la vita domestica e restare in perenne contatto coi figli, questi ultimi, soprattutto se teenagers, lo associano ad una forma di controllo e sorveglianza. Da qui si capisce come l’esperienza di intimità vari tra genitori e figli.
I teenagers, grazie ai mobile phones, hanno una full-time intimate community e quindi la possibilità di comunicare in qualsiasi momento con la loro cerchia amicale in totale intimità, senza il controllo dei genitori. Inoltre i social network hanno reso possibile per i giovani esprimere la loro vita privata all’infuori della famiglia, senza però sminuire il tempo dedicato alla domesticità.
Le ICT quindi estendono e riconfigurano i frammenti di tempo di quegli ambiti prima distinti. Grazie a questa elasticità del tempo, le persone possono avere tempo per gli amici e la famiglia senza doverlo proporzionare o dividere. Inoltre la velocità e la portabilità delle comunicazioni digitali spinge sempre più a mantenere amicizie intime in nuovi modi.

In conclusione, per la Wajcman non ci sono prove che la tecnologia dell’informazione conduca ad una diminuzione della vita sociale, anzi la possibilità di ridurre le distanze spaziali sembra far accrescere l’intimità tra persone altrimenti distanti.

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